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Intelligence, Domenico De Masi al Master dell’Università della Calabria: “Il futuro sarà con meno lavoro e più sviluppo. In Italia va radicalmente cambiata la politica del lavoro”.

Redazione

RENDE (26.1.2023) – “La previsione: il mondo che verrà” è il titolo della lezione tenuta da Domenico De Masi, sociologo e professore emerito di Sociologia del lavoro presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

De Masi ha strutturato il suo intervento partendo da un’analisi del passaggio dalla società rurale a quella industriale e da quest’ultima a quella post industriale. Ha proseguito condividendo con gli studenti le prospettive future per i prossimi dieci anni e ha terminato con una riflessione sul lavoro e sul tempo libero, rapporto che si è trasformato anche quantitativamente.

Il Professore ha iniziato analizzando la società agricola, che si è fondata sull’agricoltura e sull’artigianato ed ha origine antiche risalenti ad oltre 5000 anni fa. Questa organizzazione sociale è rimasta invariata per oltre 4000 anni, fino all’avvento della società industriale nella quale ci fu una vera e propria rivoluzione globale. Fa eccezione il XII secolo, chiamato “secolo gaio”, nel quale furono inventate una serie di scoperte che resero la vita dell’uomo sempre più agevole, come l’invenzione del bottone, degli occhiali, della polvere da sparo, della bussola e della vela bolina per navigare controvento.

Agli inizi del 1700 una quarantina di giovani in tutta Europa diedero vita alle idee dell’Illuminismo, iniziando a preparare il terreno alla società industriale. Queste idee vennero riassunte nell’Enciclopedia, in cui si contraddiceva l’assolutismo dei sovrani e dei papi, che fino ad allora spiegavano tutto con il concetto della “Provvidenza”.

Questo movimento, che preparò la rivoluzione francese, stravolse completamente la società, determinando anche

l’industrializzazione, caratterizzata dall’identità personale e dalla produzione in serie di beni materiali. Il potere, che nella società rurale era in mano ai proprietari feudali, ora era controllato dai proprietari delle fabbriche.

Il docente ha proseguito con una breve digressione sulla figura della donna, sottolineando come fosse decisamente migliore nella società rurale che in quella industriale, dove si era creata la scissione fra mondo domestico, considerato gregario e riservato alla donna, e mondo lavorativo, ritenuto essenziale e riservato all’uomo.

De Masi, che è contrario alla narrazione che il passato sia migliore del presente, ha invitato gli studenti ad avere un’attenzione scientifica, partendo sempre dai dati, per poter analizzare consapevolmente la realtà, affermando che nell’assenza di informazione le responsabilità sono delle persone, mentre nella disinformazione esiste la manipolazione di chi la promuove.

Il professore ha poi approfondito la società industriale, sottolineando la sua durata, ovvero 200 anni contro i 4000 di quella rurale. Ha quindi proseguito ricordando le idee del sociologo statunitense Alvin Toffler, che, nel volume “La terza ondata” del 1980, ha spiegato come la società industriale ha inculcato all’essere umano alcune abitudini che ancora oggi ci influenzano, come la parcellizzazione del lavoro, la standardizzazione, la specializzazione, la sincronizzazione, la concentrazione per favorire le economie di scala, la massimizzazione per avere maggiore efficienza e la centralizzazione.

Il docente ha allora spiegato cosa è successo dopo la Seconda Guerra mondiale, quando sono venuti alla luce contemporaneamente gli effetti di alcuni fattori di trasformazione della società industriale, facendola diventare post industriale, ovvero il progresso tecnologico, lo sviluppo organizzativo, la globalizzazione, i mass media, la scolarizzazione diffusa e la guerra fredda.

La società post industriale, nella quale è avvenuta una vera e propria trasformazione epocale, è caratterizzata dalla produzione di beni immateriali, con la centralità di servizi, informazioni, valori ed estetiche. Secondo il docente, mentre prima vi era una divisione fra paesi che producevano e paesi che trasformavano, si è invece determinato il cosiddetto Jobless growth, cioè uno sviluppo senza lavoro, in cui emergono la precarizzazione, la prevalenza del lavoro intellettuale (con quello manuale scaricato sui robot), l’aumento del tempo libero, la destrutturazione del tempo e dello spazio, le città ricche di tecnologie, l’ibridazione tra nomadismo e stanzialità poiché ci spostiamo con la mente ma non con il corpo.

Da questo scenario si prospettano ulteriori cambiamenti, che non riguardano esclusivamente l’economia e l’organizzazione della società, ma trasformano anche i valori, i comportamenti, i soggetti sociali, le paure e le speranze. I nuovi valori emergenti sono quelli dell’intellettualizzazione del lavoro e del tempo libero (che richiedono una diversa organizzazione sociale), dell’etica (la società post industriale è molto più etica di quella di prima), dell’estetica (gli oggetti sono più belli), della soggettività (non conta più solo il sindacato, il gruppo, la famiglia, ma il singolo), della femminilizzazione (nel 2030 il 60% dei laureati sarà donna), della destrutturazione del tempo e dello spazio (che verranno percepiti in maniera differente), della virtualità (che si ibriderà con la fisicità) e della qualità della vita (che potrà essere molto migliorata).

Dopo un ulteriore confronto con gli studenti, De Masi ha concluso la lezione approfondendo il tema del lavoro. Ha quindi sottolineato come è cambiato il significato del termine lavoro, effettuando un’importante confronto tra l’articolo1 della Costituzione italiana, “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”, e una riflessione della filosofa Hannah Arendt, che si domanda “Cosa succede in una società fondata sul lavoro quando il lavoro viene a mancare?”.

Il docente ha richiamato la civiltà Greca, nella quale era inconcepibile che un cittadino lavorasse, poichè il cittadino era tale solo se era libero dai compiti materiali, che venivano assolti dai servi, dagli artigiani e dai braccianti. Aristotele, nella “Politica”, si domanda come mai un popolo così civile come i Greci usasse gli schiavi, argomentando che “se ogni strumento riuscisse a compiere la sua funzione dietro ad un comando, o addirittura prevendendolo in anticipo, se le spole tessessero da sole e i plettri suonassero la cetra, allora sì che i capi artigiani non avrebbero bisogno di operai, né i padroni di schiavi”.

Come si vede nel IV secolo a.c. Aristotele era stato in grado di profetizzare quanto sta avvenendo attualmente attraverso l’introduzione dei robot, che in futuro sgraveranno quasi completamente l’uomo da tutte le fatiche manuali. De Masi sottolinea come, fino al 1750, nessun grande pensatore avesse nobilitato l’uomo come lavoratore, eccetto San Benedetto con il motto “Ora et labora”, che equiparava l’attività del lavoro a quella della preghiera.

Si deve ad un filosofo del Seicento, John Locke, ad un economista del Settecento, Adam Smith, e ad un filosofo dell’ottocento, Karl Marx, l’accezione positiva dell’uomo che lavora, fino ad arrivare alla posizione della Chiesa, espressa nell’enciclica del 1891 “Rerum Novarum” di Papa Leone XIII, nella quale il lavoro è visto come un castigo per l’essere umano, poiché i suoi progenitori, Adamo ed Eva, commisero il peccato originale.

Il docente è arrivato poi a delineare la società contemporanea, dove l’effetto congiunto della legge di Moore sull’innovazione tecnologica, del riconoscimento vocale, delle piattaforme, delle nanotecnologie e della robotica, comporterà uno sviluppo senza lavoro.

“Il lavoro – ha sottolineato – oggi e in futuro sarà sempre meno manuale e più creativo ed intellettuale. Infatti, nei paesi avanzati il 50% degli occupati svolgerà mansioni creative e i robot faranno tutto ciò che è esecutivo. Questo comporta il rischio di un ulteriore aumento della disoccupazione. Pertanto, se non si ridurrà l’orario di lavoro, aumenteranno i disoccupati e i NEET, cioè i giovani che non studiano e non lavorano, costretti a consumare senza produrre, aumentando i conflitti sociali.

De Masi ha infine confrontato la situazione italiana con quella tedesca e francese, dove si lavora di meno e si guadagna di più, proponendo la soluzione che, per migliorare il mondo del lavoro in Italia, c’è bisogno di una politica attiva sul lavoro dello Stato, potenziando in modo strutturale i “Centri per l’impiego”.

Il sociologo ha quindi concluso immaginando  il mondo che verrà, caratterizzato dalle variazioni demografiche, dall’allungamento della vita, dall’incremento della tecnologia, e dalla globalizzazione, sottolineando che non c’è contraddizione alcuna tra globalismo e localismo.

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