È in distribuzione il libro “Lo smart working tra libertà degli antichi e quella dei moderni”, a cura di Francesco Maria Spanò, Direttore People & Culture dell’Università Luiss Guido Carli, edito da Rubbettino. Sì avvale del contributo di Marcello Ascani, Patrizia Asproni, Stefano Boeri, Ginevra Castiglione, Andrea Catizone, Susanna Fiorletta, Fulvio Giardina, Francesca Lauri, Claudia Ricci, Alessandro Scaglione, Walter Simonis, Aronne Strozzi, Greta Tempo, Antonio Soriente, Gabriele Salvatore Vito. <<Originario di Gerace, il Dottor Francesco Maria Spanò, direttore delle risorse umane dell’Università Luiss Guido Carli di Roma, è onore e vanto per la nostra terra di Calabria>>, esordisce così il Sindacato Libero Scrittori Italiani sezione Calabria in una nota della Presidenza. <<La fortunata pubblicazione curata da Spanò – aggiunge – sta suscitando grande attenzione e interesse su una tematica così delicata e complessa, animando il dibattito culturale>>. Nella presentazione del Dott. Spanò, lo smart working, una nuova libertà acquisita, può definirsi come l’esercizio di una libertà post-moderna. Parlare di lavoro e libertà può sembrare, per certi aspetti, un ossimoro. Il concetto stesso di lavoro, infatti, implica sempre un inevitabile coefficiente di coordinamento e/o controllo, conseguenza del fatto che siamo degli esseri sociali, che dobbiamo, cioè, continuamente co-adattare le nostre azioni a quelle degli altri. E qui ci viene in aiuto Benjamin Constant che ha messo chiaramente in evidenza la scelta tra la libertà degli antichi esemplificata dalla città di Sparta, repubblica militare chiusa al mondo esterno, dove gli uomini vivevano all’interno di un ordine prescrittivo in cui la scelta individuale era impossibile quella dei moderni, rappresentata da Atene, la più dedita ai commerci fra tutte le repubbliche greche, che ha beneficiato della libertà dei moderni, intesa come scelta individuale. La scelta alternativa di rinchiudersi nella tradizione, nelle antiche leggi, nei codici ormai divenuti rigidi tanto da sovrastare l’individuo ad aprirsi all’iniziativa libera e all’innovazione dei singoli non è però solo una riflessione di Constant: è una scelta che ci si deve sempre porre, a ogni passaggio d’epoca.
Il mutamento che sta operando lo smart working è un fenomeno complesso che non può essere lasciato a sé stesso e che sicuramente spaventa molti. Ci si chiede, ad esempio, se esso sia in grado di aumentare la disoccupazione, qualora la tecnologia impiegata fosse in grado di “rimpiazzare” l’attività umana, o ancora, si possa acuire le differenze sociali o l’individualismo esasperato, generando in
molti la patologia dell’abbandono. Al contempo, la crisi riguarda anche lo spazio come dimostra il collasso contemporaneo di interi quartieri, all’interno di metropoli come New York e Londra, non più adatti ai nuovi modelli di lavoro e in cui le aziende scelgono di lasciare i dipendenti a casa per ridurre i costi e i lavoratori dimostrano di preferire lo smart working. Nella storica querelle su un equilibrio, sempre instabile, tra libertà e democrazia, si parla in questo libro di un nuovo equilibrio tra luogo e non luogo – spazio atopico di libertà e autorealizzazione.
Lo Smart working, che il libro vuole ridefinire in una chiave di lettura più ampia del termine, infatti, non si limita a un luogo o una tipologia di lavoro, ma indica un nuovo modo di vivere, che non riguarda solo il singolo individuo, bensì l’intero tessuto sociale. Proprio per questo, il volume raccoglie al suo interno anche il testo di un recente disegno di legge promosso dal curatore Spanò, il cui fine ultimo è la valorizzazione del “lavoro agile”, attraverso la promozione di una forma di stanzialità che permetta di ripopolare, in senso permanente, i piccoli borghi d’Italia. A ogni buon conto, il lavoro è riconosciuto come fondamento della nostra Repubblica, tutelabile in tutte le sue forme e applicazioni e alla luce dei radicali cambiamenti – non sempre felici – che interessano l’intero tessuto socioeconomico, ci si chiede allora perché relegare lo strumento dello smart working a una mera contrattazione ad personam tra le parti, anziché trattarlo in maniera strutturata con legge ordinaria.
Questa riflessione a fronte del fatto che la volontà dei più è stata quella di ritornare a uno status quo ante smart working, cercando di ristabilire il più possibile l’“Ancien Règime” costituito dai classici canoni spazio-temporali del lavoro, in una spinta di “restaurazione” lavorativa che potremmo assimilare, in modo evocativo, allo stesso afflato che caratterizzò il Congresso di Vienna. Abbandonare la libertà degli antichi per abbracciare la libertà dei moderni equivale, quindi, ad entrare in un contrapposto universo culturale. Tale fenomeno epocale tra nuovo e vecchio mondo rappresenta una nuova libertà acquisita e, in quanto tale, va favorito, richiedendo risposte rapide e adeguate.