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Processo per omicidio a Tropea, assolto l’unico imputato

Redazione

La corte d’Assise di Catanzaro ha assolto Francesco Saragò, di 40 anni, di Tropea per l’omicidio di Vincenzo Di Costa, avvenuto a colpi di pistola a Tropea, la sera 23 marzo 2010.

Sono state accolte le argomentazioni avanzate dai suoi difensori gli avvocati Sandro D’Agostino e Giovanni Vecchio e anche la Procura aveva chiesto l’assoluzione per l’imputato.
Di Costa, che aveva 46 anni, stava parcheggiando il ciclomotore nel piazzale antistante la propria abitazione quando fu raggiunto da numerosi colpi di pistola.
Dopo 15 anni per il delitto non c’è un responsabile.

Nel 2022 il gip distrettuale Pietro Carè, respingendo la richiesta di archiviazione presentata a suo tempo dal Pm, dopo l’opposizione presentata dal procuratore Camillo Falvo, aveva disposto l’imputazione coatta nei confronti di Saragò accusato dell’omicidio, connotato dalle modalità mafiose, del 46enne, accogliendo seppur in parte le richieste dell’avvocato Giovanna Fronte che assisteva la moglie della vittima.
Subito dopo il delitto, gli investigatori avevano rinvenuto tracce di un possibile appostamento del killer in un terreno coperto di erba e rovi posto dinanzi all’abitazione della vittima, in posizione rialzata di circa due metro e mezzo, attraversato da un sentiero che conduceva anche all’abitazione di Filippo Saragò.
Dagli atti di indagine della Squadra Mobile di Vibo relativa all’operazione antimafia denominata “Peter Pan”, scattata nel dicembre del 2012, emergeva poi “la contiguità di Vincenzo Di Costa agli ambienti della criminalità organizzata”. “In tal senso – scriveva ancora il gip – assumono rilevanza alcune intercettazioni del 2009 e del 2010 in cui esponenti della cosca La Rosa di Tropea commentano il comportamento ‘esuberant’ di Vincenzo Di Costa, mentre il collaboratore di giustizia Peter Cacko, il 7 ottobre 2009, si è autoaccusato di aver posizionato su mandato di Pasquale Quaranta di Santa Domenica di Ricadi, attualmente condannato all’ergastolo per omicidio, un ordigno esplosivo per danneggiare il chiosco adibito alla vendita delle cipolle dello “zingaro”, alias con il quale era conosciuto Vincenzo Di Costa.
Nel provvedimento del giudice vengono indicati tre possibili moventi del delitto legati ad una serie di circostanze attinenti il profilo della vittima, le frequentazioni con ambienti criminali del luogo e alcuni episodi di danneggiamento avvenuti poco prima del fatto.

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