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Aggressività sana aiuta a crescere ma va ‘accompagnata’

Redazione

C’è una rabbia distruttiva che “può causare disturbi dell’apprendimento, perché compromette l’autostima e la capacità dei bambini di credere in se stessi”. Ma c’è anche una “sana forma di aggressività che promuove la crescita. I genitori hanno il compito di accompagnarla con la loro presenza”. A mettere in guardia è lo psichiatra del Policlinico Gemelli Federico Tonioni, responsabile del progetto di ricerca “La rabbia che non si vede” presentato oggi a Roma e sostenuto dalla Comunità Incontro Onlus e dalla Fondazione Valuer.
“Analizzando i pazienti che venivano da noi per la dipendenza da web, abbiamo capito che la rabbia è matrice di tante derive psicopatologiche negli adolescenti”, spiega Tonioni, che dirige l’Ambulatorio per la dipendenza da internet del Gemelli. “La cosa che abbiamo notato è che i loro occhi sono difficili da incrociare ma pieni di aggressività inconsapevole. Il primo passo per superarla è dare un nome a quello che sentono”. C’è però anche, prosegue l’esperto, “una sana forma di aggressività che è quell’istinto grazie al quale i bambini apprendono dall’esperienza ed esplorano l’ambiente”. Questa spinta irrefrenabile “è la stessa che induce ad esempio un bambino a camminare”. Ma è necessario che tale energia vitale sia accompagnata da una presenza di un genitore. “Tutte le volte che un bambino fa una cosa per la prima volta la fa con grande serietà e intensità emotiva, e immediatamente cerca la presenza di un adulto, che non deve necessariamente intervenire. Ma deve essere presente. Se ciò non accade, l’istinto a crescere non diventa esperienza e viene trattenuto dentro, trasformandosi in rabbia”. Non solo. “Nello sguardo del bimbo in quel momento c’è il riflesso dello sguardo dell’adulto. Se negli occhi del genitore legge ansia non userà questa esperienza per crescere, se troverà sguardo che lo accompagna, – conclude Tonioni – il bambino sorriderà e quella esperienza potrà essere integrata nel suo bagaglio di vita e diventerà acquisita”

Spesso nei bimbi rabbia nascosta, progetto per individuarla

Bimbi che assistono ad episodi di violenza in famiglia, bimbi che perdono un genitore in seguito a una separazione non consensuale, o vengono usati nel conflitto tra madre e padre. Aumentano, secondo gli esperti, le situazioni che fanno emergere situazioni di rabbia tra i più piccoli. Per capire dove passa il confine tra ciò che è normale e ciò che è patologico è nato il progetto di ricerca “La rabbia che non si vede”, ovvero un sistema di misurazione dell’aggressività nei minori, presentato oggi alla Fondazione Policlinico universitario A. Gemelli.
Il progetto consiste nel rilevare indicatori precoci di rischio, attraverso la somministrazione di test che misurano l’aggressività. Dalle risposte ai questionari, differenziati per cinque fasce di età, emergeranno diversi gradi di rischio di sviluppare psicopatologie, come isolamento sociale, cyberbullismo, tossicodipendenze. Ogni questionario verrà somministrato per almeno due anni al controllo di routine da parte dei medici della Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) di Roma. “Solo laddove per almeno due anni consecutivi dovessimo rilevare un rischio intermedio alto verranno somministrati altri test o interventi clinici per indagare ulteriormente”, spiega Federico Tonioni, dirigente UOC Psichiatria del Gemelli e responsabile del progetto.
“Calo improvviso del rendimento scolastico, comportamenti regressivi, sono segni che hanno come fil rouge la rabbia. Capire il confine tra aggressività normale e patologica è compito del pediatra, ma spesso non si ha la formazione per intercettare segnali estremamente sfumati”, commenta Pietro Ferrara, giudice Onorario Tribunale per i minorenni. Individuarli è importante anche per la salute fisica. “L’aggressività repressa – ricorda Luigi Janiri, direttore UOC Psichiatria del Gemelli – è una delle cause della cardiopatia ischemica in persone predisposte”. Inoltre, aggiunge Giampaolo Nicolasi, presidente Comunità Incontro Onlus, “la rabbia spesso porta a sfogarsi con l’uso di droghe. Tra i nostri ragazzi, chi fa uso di stupefacenti racconta sempre di aver avuto disagi in ambito familiare o bullismo”.

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