L’annuncio del segretario regionale uscente del PD, on. Magorno, di una presunta data del Congresso regionale per il 13 di maggio, se non provenisse da chi ci ha abituato da tempo agli appuntamenti sempre rinviati, susciterebbe quanto meno sconcerto per la sua frettolosa intempestività.
Il voto del 4 marzo scorso ha restituito una grande confusione nel quadro politico generale e solo poche inconfutabili certezze.
Figlio dell’ennesima legge elettorale sbagliata e spersonalizzante delle responsabilità politiche individuali, questo voto è arrivato al termine di una legislatura che ha avuto il grande merito di far progredire i diritti civili, ma ha trascurato i diritti sociali: fra tutti, il diritto di curarsi adeguatamente e la dignità del lavoro. E’ questo che ha alimentato, anche tra i tradizionali elettori di centro-sinistra, un diffuso sentimento di solitudine e pessimismo.
Le analisi del voto di queste ore definiscono il PD “il solo vero partito di classe, ma di una classe con un reddito più alto, un Partito di élite” (Studio Cise – LUISS), essendo stato votato per lo più da soggetti avanti negli anni e benestanti, mentre gli elettori giovani e in condizioni economiche precarie hanno preferito rivolgersi a chi prometteva una nuova forma di protezione sociale. Un paradosso per un partito di centro-sinistra che da qui deve ricominciare ad interrogarsi per ritornare ad intercettare l’attenzione del suo popolo.
Gli elettori calabresi, in particolare, non hanno trovato nel PD, che esprime la maggioranza che governa la Regione, un riferimento credibile alla grave crisi che attraversa da sempre la Calabria e che sembra aggravarsi al cospetto di una ripresa che invece riguarda il resto del mondo vicino. Se la promessa di un reddito minimo, come della flat tax in alta Italia, ha costituito facile esca per un elettorato deluso e ancora piegato dalla crisi, d’altra parte l’assoluta mancanza di un partito di sinistra radicato sul territorio e realmente attento alle questioni locali con il tragico epilogo delle liste “monocordi” per la competizione, ha segnato il definitivo abbandono della nave PD da parte di quanti pure vi avevano aderito con entusiasmo già dal 2007 ed avevano creduto ad una rigenerante “rottamazione” promessa da Matteo Renzi. Se si può individuare un errore più grave di altri che pur vengono imputati al Segretario ormai dimissionario, è principalmente quello di non avere usato, specie al Sud, quel “lanciafiamme” sempre annunciato e mai tirato fuori, pur dopo le cocenti sconfitte delle amministrative di importantissimi centri urbani, come Cosenza e Catanzaro, e del referendum costituzionale, che ha segnato nella vita interna del partito lo spartiacque tra la serietà e la finzione, tra i tatticismi e il cuore.
Alla luce di ciò, non ha senso oggi indire un congresso a così breve termine e magari sulla scorta dei numeri di un tesseramento fatto in un altro tempo e sotto un altro “cielo”, quando ancora vigevano le leggi del più forte e sopravvivevano le leggende dei notabilati intoccabili, oggi sradicate dai risultati elettorali.
Quel mondo non c’è più, spazzato via dal voto del 4 marzo, un voto contro il PD prima che per il Movimento 5 stelle. Per non dire di quanto rischierebbe di isolare la Calabria un assetto organizzativo e programmatico che non tenesse conto di quanto avverrà con il congresso nazionale ormai annunciato e prossimo a celebrarsi. Di tutto c’è bisogno, fuorché di nuove disarmonie isolazionistiche a Sud e di cinque Governatori di centrosinistra che non parlano tra loro e sono prigionieri dell’antipolitica a firma burocratese!
E’ necessario, allora, aprire una fase davvero nuova con un tesseramento che parta da zero, realmente aperto nei gazebo e accessibile alla società civile, a quel mondo cattolico e moderato da troppo tempo tenuto fuori dalla porta delle gerarchie autoreferenziali e asfittiche, con i loro “cerchi magici”. Inutile spingere un corpo ormai esanime, quando piuttosto occorre ridare ossigeno, organi e moto allo scheletro che rimane. Il Pd sopravvive solo se diventa realmente contendibile per nuovi generi e profili, che dimostrino affezione alla politica e attenzione al bene comune. Donne, giovani e amministratori credibili attenti al destino delle loro comunità, calabresi che vivano la politica con generosità e senza attesa di una rendita di posizione.
Ecco perché, prima di fissare improbabili date di nuove rese dei conti congressuali, che avrebbero il sapore delle divisioni ereditarie del “nulla”, pensiamo ad utilizzare il ruolo di opposizione che ci è stato assegnato dagli elettori, per rinnovare il legame con il territorio e ricucire il rapporto con la nostra comunità, che ci ha lanciato un segnale non di sfida, ma di speranza e che ancora può essere recuperata se interrogata con le giuste doti di umiltà e di spirito di servizio, ciò che ispirava Moro e Berlinguer.
Bianca Rende: “Utilizziamo il ruolo di opposizione per ricucire il rapporto con la nostra comunità”
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