(di Paola Del Vecchio)

“Il recente ritrovamento del capidoglio morto al largo di Cabo de Palos, in provincia di Murcia, con 28 chili di plastica nello stomaco, è una tragedia che evidenzia l’urgenza dell’azione di tutti i Paesi del Mediterraneo per prevenire la concentrazione di rifiuti plastici e combattere quelli esistenti”. Lo afferma in un’intervista ad ANSAmed, Miguel Garcia-Herraiz, vice segretario generale dell’Unione per il Mediterraneo e responsabile per l’ambiente e l’acqua, in occasione del lancio, martedì 17 aprile a Siena, del progetto regionale ambientale ‘MPAs Plastic Busters (Cacciatori di plastiche, ndr): preservare la biodiversità nelle aree marine protette del Mediterraneo’, nell’ambito del programma di cooperazione europea Interreg-MED. Della morte del cetaceo siamo in pratica tutti responsabili.
“L’80% dei rifiuti marini viene prodotto sulla terraferma ed è un dato che dimostra quanto l’economia sia legata all’ambiente”, rileva Garcia-Herraiz. “Quando buttiamo una busta nella spazzatura, è molto probabile che finisca in mare. Una circolarità che evidenzia la necessità non solo di raccogliere e trasformare i rifiuti di post-consumo in plastica, ma di intervenire sul ciclo completo, dal monitoraggio e valutazione alla prevenzione, alla mitigazione”, aggiunge il vicesegretario della UpM. MPA Plastic Busters è focalizzato sulle aree marine protette, per “verificare l’origine dei rifiuti, la quantità, l’itinerario seguito per arrivare al Mediterraneo, identificare le maggiori concentrazioni, al fine di capire meglio dove concentrare gli sforzi per ridurre l’impatto dei residui nel Mare Nostrum”. “L’obiettivo – spiega ancora il vice segretario dell’UpM – è contribuire a mantenere la biodiversità e preservare gli ecosistemi naturali nelle MPA pelagiche e costiere, individuando strumenti di intervento e un approccio armonizzato contro i rifiuti marini. E sviluppare azioni comuni dirette a rafforzare il networking fra le aree marine protette pelagiche e costiere situate in Italia, Francia, Spagna, Croazia, Albania e Grecia”, aggiunge. Per comprendere la dimensione del fenomeno, basti pensare che la media dei rifiuti solidi municipali prodotti nella Ue è di 520 Kg per persona l’anno e si prevede aumenti fino a 680 Kg nel 2020. Secondo stime del settore industriale, fra bottiglie Pet, buste, lattine, pneumatici usati, polietilene di varia origine, drenati nelle reti di pesca di profondità, il Mare Nostrum accumula oltre 3.000 tonnellate di rifiuti nelle acque superficiali; 6,4 milioni le tonnellate riversate ogni anno negli oceani, che al ritmo attuale, raddoppieranno nei prossimi 10 anni. Maree di plastica, una ‘zuppa’ spesso invisibile a occhio nudo per effetto della fotodegradazione, che uccide più specie marine della strage provocata dal cambio climatica e ha un impatto nocivo sulla salute umana.
Un focus dell’iniziativa sarà sul riciclaggio degli strumenti di pesca, come le reti, nel settore ittico, o per un migliore utilizzo dei rifiuti, per la rigenerazione e la creazione di energia. Un altro, sugli investimenti nelle aree marittime protette, che a lungo termine producono un effetto virtuoso, un maggiore benessere, nelle zone rurali adiacenti, perché attraggono un turismo più sostenibile e risorse. “L’Università di Siena Unisi Sdsn, con Maria Cristina Fossi, è dal 2013 l’anima del progetto”, finanziato con 5 milioni di euro, per la durata di 4 anni, spiega ancora Miguel Garcia-Herraiz. L’iniziativa, fatta propria dall’UpM nel 2016, con la partnership di 43 paesi Euromed e il coinvolgimento di Istituti di scienze di tutto il Mediterraneo – fra i quali Ifremer in Francia, il Piano Azione Med dell’Onu con sede ad Atene, il Segretariato della Convenzione di Barcellona, l’Istituto Oceanografico spagnolo – è coordinata dalla dottoressa Teresa Romeo dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale. “Il progetto, il primo a scala di bacino, si inquadra nel programma più ampio di Plastic Blaster in cui i paesi della Ue e dell’IPA uniscono le forze in un approccio coordinato, per una diagnosi dell’impatto dei rifiuti marini sulla biodiversità nelle Aree mediterranee protette, con l’identificazione dei punti caldi; la definizione e il collaudo di misure di sorveglianza, prevenzione e mitigazione; lo sviluppo di un quadro di azioni comuni per la conservazione della biodiversità per le regioni Interreg Med e un piano di governance congiunto”, assicura il vicesegretario della UpM. Insomma, se casi come il capidoglio di Murcia dimostrano l’urgenza di azioni congiunte, la buona notizia è che “la coscienza ambientalista è abbastanza estesa, come dimostrano la recente approvazione da parte della Ue della direttiva sulla plastica e il fatto che nel Mediterraneo molti attori già lavorano a iniziative successive all’orizzonte 2020”.