E’ durato solo otto ore, ma ha dato vita a 60 anni di vite salvate. Il primo pacemaker interno è stato impiantato a Stoccolma l’8 ottobre 1958, ed è stato sostituito poco dopo, ma ha fatto sì che iniziasse un’era che vede oggi in Italia circa 90mila tra pacemaker e defibrillatori impiantati ogni anno.
Il primo paziente con un pacemaker si chiamava Arne Larsson, ed era affetto dalla sindrome di Adams-Stokes, una condizione che lo aveva portato a 43 anni ad avere 20 battiti al minuto invece dei 60-100 normali e frequenti svenimenti e crisi cardiache. A convincere i medici a sperimentare il pacemaker, narrano le cronache del tempo, fu la moglie, che aveva letto dei comunicati stampa condotti sulle prime ricerche.
Il dispositivo, grande quanto un dischetto da hockey e con solo due transistor, era stato progettato dall’ingegnere Rune Elmqvist, mentre ad impiantarlo fu Ake Senning, un chirurgo del Karolinska Institute. Il primo pacemaker come detto ebbe vita breve, perché si danneggiò durante l’impianto e smise di funzionare dopo poche ore. “Presumibilmente – ricorda Senning negli atti di un congresso a cui presentò l’operazione – avevo danneggiato il transistor in uscita con il catetere e non ne avevo un altro, che era in laboratorio. Ho impiantato l’altro pacemaker la mattina dopo”.
In 60 anni lo sviluppo tecnologico ha profondamente cambiato i pacemaker, che ora sono grandi come una monetina e hanno fino a 20 milioni di transistor, che li rendono capaci di comunicare in tempo reale con l’esterno, anche se il principio base, regolare il battito cardiaco con impulsi elettrici, è rimasto lo stesso. Per impiantarli non è più necessario neanche un intervento chirurgico a cuore aperto ma vengono posizionati passando attraverso le vene.