Il colesterolo e’ un pericolo prima e anche dopo un infarto, ma dopo un evento cardiovascolare, sorprendentemente, i pazienti che lo tengono sotto controllo sono ancora troppo pochi, con un grave prezzo in termini di vite perse ma anche di costi sanitari. “Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte nel nostro Paese, essendo responsabili del 35% delle morti totali. Malattie ischemiche del cuore, cerebrovascolari, ipertensive, altre malattie cardiovascolari occupano le prime 5 posizioni” afferma Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria, Direttore EEHTA, Università degli Studi, Roma Tor Vergata, intervenuto al Senato a Meridiano Cardio “Nuove prospettive nella prevenzione secondaria cardiovascolare: focus sull’ipercolesterolemia” giunto alla seconda edizione. Non deve dunque sorprendere che i costi sanitari (diretti e indiretti) associati a tali patologie, ammontino a circa 21 miliardi di euro/anno. Cifra considerevoli che potrebbe essere ridotta anche grazie ad una evoluzione della presa in carico dei pazienti dopo un primo evento cardiovascolare, grazie a interventi di prevenzione secondaria. Per quanto riguarda per esempio il colesterolo, gli studi dimostrano come una riduzione del C-LDL di 39 mg/dL (1 mmol/L) si traduca in un calo del rischio relativo di eventi cardiovascolari del 10% al primo anno, del 16% al secondo anno e del 20% dopo tre anni di trattamento2. “Si stima che in prevenzione secondaria poco meno del 50% dei pazienti raggiungono il target dei livelli di colesterolo C-LDL” – afferma Marcello Arca, Direttore UOS Centro Arteriosclerosi, Centro di riferimento regionale per le malattie rare del metabolismo lipidico, Policlinico Umberto I e Segretario Nazionale SISA -“Possiamo affermare che una terapia inadeguata si riflette negativamente sul controllo dell’ipercolesterolemia con un rischio aumentato di eventi cardiovascolari successivi”.
Certamente per i pazienti che hanno subìto un primo evento cardiovascolare sarebbe opportuno essere seguiti nell’immediato dopo la dimissione in modo tale da verificare il raggiungimento del target terapeutico e aggiustare se necessario l’intervento terapeutico. Le più recenti linee guida dell’European Society of Cardiology parlano di 70 mg/dL in pazienti a rischio cardiovascolare molto alto.
“Qui giocano un ruolo determinante le nuove classi di farmaci come gli inibitori di PCSK9. Si tratta di farmaci innovativi dal punto di vista della farmacologia cardiovascolare che hanno dimostrato di ridurre i livelli di colesterolo (anche oltre il 50%), a fronte di un buon profilo di tollerabilità e sicurezza” – dichiara Pasquale Perrone Filardi, Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, Università “Federico II” di Napoli – “Negli studi clinici, questi farmaci hanno dimostrato di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari come l’ictus e l’infarto. In particolare è stato possibile dimostrare una riduzione del rischio superiore al 20%, oltre a una riduzione delle necessità di sottoporre i pazienti a interventi di rivascolarizzazione coronarica”. L’impiego di questi nuovi farmaci nei pazienti in prevenzione secondaria, tuttavia, è inferiore all’epidemiologia attesa.
Federico Spandonaro, Professore Economia Sanitaria, Università Roma Tor Vergata e Presidente C.R.E.A. Sanità conferma che solo il 13-14% dei pazienti eleggibili all’utilizzo di questi farmaci, è stato effettivamente sottoposto a questa terapia.
Il colesterolo, un pericolo dimenticato dopo un infarto o un ictus
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