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Una nota di “#amicidelportodiCrotone” per andare verso la realizzazione delle ambizioni sulla “Città futura”

Redazione

Abbiamo letto, con interesse, e apprezzato, molto, l’intervento, pubblicato sulla gran parte dei media locali, del Dr. Pasquale Criscuolo dal titolo “Puntare ad investimenti strategici per il rilancio dell’economia e dei livelli occupazionali”. Un prezioso ed autorevole contributo che in parte corrobora e travalica lo sforzo che come #amicidelportodiCrotone stiamo compiendo da qualche tempo. Puntuale e mirato così da fortificare il nostro impegno tanto più pervenendo da un crotonese che, raggiunti singolari e speciali livelli professionali e di competenza – Direttore Generale del Comune di Parma / Già Direttore Generale del Comune di Genova – e, in questo momento, lontano dalla sua terra, ci sostiene e sostiene l’intera comunità in uno straordinario spunto di riflessione per la città dei prossimi millenni e non per la città dei tre millenni che pure resta sullo sfondo delle sue e delle nostre riflessioni. Perché è alla “Città futura” che insieme dovremo guardare. Un lavoro che impone a noi tutti di essere consequenziali e conseguenti, senza concederci distrazioni e variazioni al tema. Per alcuni aspetti una sfida. Per oltre mezzo secolo, com’è a tutti noto, Crotone è stata una “factory town”. Una delle poche città industriali del Sud Italia. L’unica in Calabria. Una città che, dopo essere diventata nel tempo sede di un importante distretto industriale cresciuto su un sistema produttivo incentrato sulla metallurgia, sulla chimica e sull’agroalimentare , a cavallo degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso ha conosciuto un momento di grave crisi, coincidente con l’avvio dei processi di globalizzazione, con il cambiamento radicale dei modi di competere da parte delle aziende e con le scelte delle imprese industriali di delocalizzazione produttiva. Crotone, prima di altre città italiane, ha assistito prima a un profondo ridimensionamento e poi ad una totale e ineludibile dismissione del proprio apparato produttivo. Desolazione e macerie aggravate dalla ritardata bonifica ( che dura da oltre 30 anni) , una sorta di tela di Penelope in attesa di un qualsiasi Ulisse. Macerie che hanno minato e continuano a minare alle fondamenta la città. Una città che oggi è ripiegata su stessa. Rassegnata e sempre più marginale e isolata. Una città che conta sempre meno residenti e che per i giovani non è più la terra del ritorno ma solo della partenza. Viene da chiedersi cos’è successo o, meglio ancora, cosa non è successo per determinare una situazione di totale abbandono e contemporaneamente di grandissima rassegnazione? E’ successo che a partire dagli anni ’90, e forse ancor prima, la città si è colpevolmente abbandonata ad atteggiamenti nostalgici , invece di reinventarsi lavorando, con consapevolezza, su due direttrici fondamentali: – non smarrire le proprie radici industriali, che erano, e ancora continuano ad essere, la forza storica della città, ma riqualificarle con un livello di specializzazione tecnologica più alto, così da poter competere a livello globale. – arricchire le proprie radici con nuove vocazioni. La città si sarebbe dovuto rendere conto che la sua vocazione industriale non sarebbe stata sufficiente da sola a garantire la prosperità come in passato e che era quindi necessario allargare lo spettro delle proprie eccellenze. E avrebbe dovuto farlo nella direzione di tutto ciò che è economia della conoscenza: ricerca e start up (in collegamento al suo background industriale) e sistema formativo . E cultura. La cultura, e non sembri strano, era stato un elemento attorno al quale si era costruita l’identità della città, pensiamo al prestigiosissimo Premio letterario Crotone, e investire in cultura avrebbe dovuto essere, e dovrebbe essere strategico, perché in epoca di globalizzazione la competizione non è più solo fra imprese, ma anche e soprattutto fra territori. I territori attrattivi e genuinamente accoglienti hanno un più alto tasso di sviluppo e un più alto tasso di opportunità. Investire in conoscenza, ricerca, formazione e cultura rende un territorio ricco, e un territorio ricco è interessante e appetibile non solo per chi ci vive ma anche per chi ci investe e per chi vorrebbe viverci e trascorrervi le vacanze. La cultura avrebbe dovuto e deve essere per Crotone un elemento costitutivo di un modello di sviluppo territoriale, non un elemento aggiuntivo. Non stiamo parlando di immaginare un modello di sviluppo e poi spruzzare sopra un pò di cultura, ma di rendere la cultura il perno attorno al quale si costruisce l’identità della città. In questo quadro, così delineato, la linea strategica da porsi è promuovere Crotone come città di cultura e che, quindi, si propone oltre il perimetro urbano e municipalistico per contaminarsi, coesistere e rilanciarsi per competere. E, conseguentemente, diventare Città dell’industria, del Commercio, e dell’Artigianato. E del turismo. Una Città poliedrica e non monocorde. Finiamo questa nostra nota, e ci sembra il modo migliore, con le parole del dr. Pasquale Criscuolo: “Urge non solo avere idee ma soprattutto identificare soggetti in grado di progettare interventi ed opere necessarie per la realizzazione di questa visione ambiziosa. Lo sviluppo economico di un territorio e, quindi, la capacità di attrarre investimenti privati, con ricadute a favore dell’economia reale complessiva, e conseguentemente dell’incremento dei livelli occupazionali, non può prescindere dalla dotazione di infrastrutture che possono diventare ancora più strategiche se in grado di garantire intermodalità. Scegliere se investire risorse economiche in un territorio piuttosto che in un’altro dipende prevalentemente da questo. Mai come oggi occorre capacità di intercettare finanziamenti che siano in grado di lasciare il segno, con effetto moltiplicatore, anche attraverso un’azione corale che veda fortemente impegnati Istituzioni e Territorio, in grado di creare le condizioni di un quadro economico territoriale solido e duraturo” .

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