È stato incastrato da un’impronta digitale parziale: così dopo 10 anni un uomo di Gioia Tauro, DomenicoBevilacqua, è stato incriminato per detenzione illegale di armi da guerra ed esplosivi e per ricettazione.
L’arsenale è stato trovato nella popolosa cittadine reggina nel 2005, all’epoca dell’uccisione di Rocco Albanese, in un terreno in contrada Vallomena, in un appezzamento adiacente a quello di proprietà di Teresa Guerrisi e Domenico Albanese, moglie e figlio di Rocco “purvareda” Albanese.
L’omicidio rientrerebbe tra i fatti contestati nel processo nato dall’inchiesta “Atlantide” che si sta celebrando in Corte d’assise a Palmi.
E proprio loro due sono stati incriminati e portati in giudizio dalla procura di Reggio Calabria, per poi essere assolti dal gup reggino.
Le indagini, però, dopo l’assoluzione dei due, sono state riaperte nel 2016 dalla Procura grazie a nuove tecniche per il rilevamento delle impronte digitali.
Analisi che hanno portato all’identificazione di Bevilacqua che sarebbe stato sul terreno insieme alla Guerrisi e Albanese il giorno della scoperta delle armi da parte delle forze di polizia.
Il processo è iniziato con l’escussione di alcuni agenti che hanno operato a vario titolo alle operazioni di perquisizione e al rilevamento dai dati balistici e delle impronte digitali, con le varie comparazioni avvenute nel tempo.
Gli esperti hanno spiegato che le impronte sono solo dei frammenti e nessuna di queste è stata rinvenuta sulle armi, ma su un sacco di cellophane in cui erano custodite le armi. Il processo è stato rinviato al 10 luglio prossimo.