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Bimbo morto in piscina a Cosenza: ‹‹Giancarlo non è annegato»

Redazione

La pubblica accusa usa la mano pesante. Dopo la pausa estiva, è ripreso, stamattina, il processo per la morte del piccolo Giancarlo Esposito, deceduto il 2 luglio del 2014, al Kinder Garden della piscina di Campagnano. Sono imputati Carmine Manna, legale rappresentante della società, e le educatrici Franca Manna, Luana Coscarello, Martina Gallo e Ilaria Bove. L’udienza, iniziata intorno all’una e conclusa verso le 17, ha visto il pm Maria Francesca Cerchiara, iniziare il controesame dei medico legali della difesa. Il pubblico ministero, nella sua ricostruzione dei fatti ha evidenziato come le perizie effettuate dai medici nominati dalla Procura, abbiano ribadito che il piccolo Giancarlo, morì per annegamento. Una versione, contrastata dalla consulenza dei periti di parte, Andrea Arcangeli e Luigi Strada, ha spiegato alla Corte come il piccolo Giancarlo non morì in piscina per annegamento, ma smise di respirare, stroncato da un arresto cardiaco.

«La morte del piccolo Esposito è riferibile ad una causa patologica naturale, una miopericardite – ha dichiarato il prof. Arcangeli – da cui il bambino è risultato affetto, che ha determinato la comparsa di una grave aritmia e che ha fatto sì che venisse colto da un malore improvviso mentre giocava nella piscina, causando in pochi istanti l’arresto cardiaco». I due consulenti inoltre hanno evidenziato come la causa del decesso non potesse essere l’annegamento perché mancavano una serie di evidenze, prima fra tutte l’assenza del fungo schiumoso, l’enfisema acuto nei polmoni e la mancanza di acqua nello stomaco.

Dunque un arresto, non determinato da disattenzioni del personale impegnato in piscina, ma causato da una forma di miocardite di cui il bimbo era affetto. Non solo. Nel corso della loro escussione, i due periti, rispondendo alle domande incalzanti del pm, hanno, altresì, evidenziato come, quel giorno, il piccolo Giancarlo fosse affetto anche da una flogosi virale. Un virus, evidenziato anche dall’attenta analisi dei vetrini, effettuata dai due consulenti della difesa. Quel giorno, hanno ribadito Arcangeli e Strada, Giancarlo non sarebbe dovuto entrare in piscina. E, certo, né Carmine Manna, né gli altri imputati, gli avrebbero potuto negare l’accesso in acqua. L’assenza di acqua nei polmoni, così come la mancanza di fungo schiumoso, l’enfisema acuto nei polmoni e l’assenza di acqua nello stomaco, ha convinto, ulteriormente, i due consulenti che Giancarlo Esposito, non è deceduto per annegamento. Il prof. Strada e il dott. Vercillo, CTU del pm, hanno analizzato assieme i vetrini dell’autopsia hanno rilevato e convenendo sulla presenza di 2/3 focolai di infiltrati linfocitari al livello del miocardio. Alla domanda del Pm: ‹‹si può morire con tre focolai?›› il professor Strada ha risposto affermativamente ed ha sottolineato che ‹‹la morte di Giancarlo è una “morte improvvisa”›› ribadendo che è deceduto per miocardite di origine linfocitaria che ha interessato anche altri organi atteso che i focolai, oltre a quelli del cuore, ben tre di importanti dimensioni, erano presenti anche nei polmoni e nel fegato.

 

 

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