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Mafia, intercettazione: “Messina Denaro passato dalla Calabria. I rapporti con la ‘ndrangheta

Redazione

Sarebbe stato anche in Calabria il boss Matteo Messina Denaro. È quanto emerge da un’intercettazione ad uno degli uomini indagati nel blitz “Anno zero”, disposto dalla Dda di Palermo.

Nel corso dell’operazione di oggi, sono stati fermati i fiancheggiatori che avrebbero favorito la latitanza del capomafia, ricercato dal 1993.

Nelle intercettazioni sarebbe emerso che Messina Denaro avrebbe “incontrato diversi cristiani” ma “è tornato” (in Calabria, ndr). Il fermo – emesso dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano, coordinata dal procuratore capo, Francesco Lo Voiricostruisce l’ultima “rete” di fiancheggiatori vicini, vicinissimi, al boss castelvetranese. Che comunica poco e si fa vedere il meno possibile.

In due registrazione si fa riferimento a un pizzino che sarebbe stato scritto dal boss, messaggio che però non sarebbe stato trovato dagli investigatori: “Nel bigliettino è scritto… lo vedi? Questo scrive cosa ha deciso… quello ha detto”.

Il capomafia, infatti, a differenza dei suoi predecessori avrebbe dato l’ordine di “distruggere immediatamente” i suoi biglietti. Dalle conversazioni intercettate si percepisce anche il malumore della madre di Matteo Messina Denaro: “La madre di Matteo … che lui non scrive si lamenta, lui deve scrivere … vorrei vedere a te. Non gli interessa niente di nessuno“.

Secondo le intercettazioni, dunque, il “capo” sarebbe stato nella nostra regione 25 anni fa, esattamente nel 1993. Un dato che è ritenuto plausibile dagli investigatori, dati i numerosi riferimenti nelle cronache giudiziarie e dei giornali sui contatti che vi sarebbero stati fra Cosa Nostra siciliana e la ‘ndrangheta calabrese.

Come l’episodio che ha visto protagonista Toto Riina, il capo dei capi in persona, che avrebbe attraversato lo Stretto di Messina vestito da frate durante la sua lunga latitanza.

Erano gli anni Novanta e Reggio Calabria era insanguinata dalla guerra che contrapponeva i De Stefano al cartello dei Serraino-Condello-Imerti.

A parlare è stato il pentito Consolato Villani nel corso del processo ‘Ndrangheta stragista, in cui è imputato per l’omicidio di due carabinieri uccisi nel 1994 lungo l’autostrada A/3 Salerno-Reggio Calabria. Nel procedimento è coinvolto anche il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano.

L’agguato contro i due militari, Antonino Fava e Giuseppe Garofalo, sarebbe maturato nell’ambito di un progetto eversivo di cui Riina sarebbe stato protagonista anche attraverso gli attentati di Roma, Firenze e Milano compiuti in quegli anni.

Riina sarebbe stato inoltre ad Africo, in Aspromonte, cosa che emerge da diversi rapporti della Dia, e vi sarebbe stato anche più volte.

Proprio nella stessa cittadina reggina vi avrebbe trovato rifugio un altro capobastone siciliano “di peso”, Luciano Liggio. La ‘ndrangheta avrebbe fornito l’esplosivo per l’attentato contro il giudice Borsellino e, sempre per conto di Cosa Nostra, avrebbe assassinato, nei pressi di Campo Calabro, il giudice AntoninoScopelliti, sorpreso dai killer il 9 agosto del 1991.

Scopelliti sosteneva l’accusa davanti alla Suprema Corte contro i boss palermitati condannati nel primo maxiprocesso contro Cosa Nostra.

L’omicidio del magistrato sarebbe stata la “contropartita” delle ‘ndrine per la mediazione di Riina, intervenuto per far cessare la guerra scatenata a Reggio con l’uccisione del boss Paolo de Stefano, avvenuto nell’ottobre 1985.

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