Dopo la significativa tappa inaugurata alla Biblioteca Stefano Rodotà del Liceo Classico Telesio di Cosenza che
ha visto il coinvolgimento formativo di studenti e docenti, il progetto CARBONE 100 I racconti di una vita.
Fotografie dal 1954 al 1990 prosegue con l’esposizione Antropologia, tradizioni e ritualità meridionale
tra Calabria e Lucania, che inaugura sabato 23 novembre con una conferenza stampa alle ore 17:00
presso il RiMuseum – Università della Calabria.
La mostra riprende lo straordinario viaggio intrapreso da Mario Carbone e Carlo Levi in Lucania nel 1960, tema
inaugurato alla Biblioteca Stefano Rodotà, dove la manifestazione si concentra sul rapporto con Levi e la sua
opera Cristo si è fermato a Eboli. La documentazione presentata al RiMuseum, di inestimabile valore, si focalizza
invece su un ampio spettro di avvenimenti sociali, consuetudini culturali e pratiche devozionali secolari riprese da
Carbone con approccio indaginifico ed esistenziale.
La manifestazione è dunque dedicata alla capacità di Carbone, figlio del Sud, di immortalare un sapere
sedimentatosi nel corpo. Le fotografie esposte fissano e testimoniano l’impegno e il desiderio di riscatto da una
condizione di povertà e oppressione protrattasi per secoli, rendendo eterni attimi di vita che scorrono lenti fra
gesti ripetuti e quotidiani. Mani che impastano, dita che cuciono, braccia che spalano, teste che sorreggono
pesi, bocche che recitano e tramandano storie che scorrono sull’orlo della memoria.
«Amavo girare specialmente film che riguardavano il Sud, poiché è una terra più interessante. Nel Sud
basta che punti la macchina da presa e già fai qualcosa»
Mario Carbone
Con occhio partecipe, Carbone guarda e trasmette il paesaggio meridionale e le persone che lo abitano. Con la
cinepresa racconta l’abbandono delle terre feudali da parte della nobiltà calabrese (Stemmati di Calabria, 1964,
che gli vale un Nastro d’Argento); l’occupazione delle terre a Melissa (Sedici anni dopo, 1967) e la condizione
del lavoro contadino (Dove la terra è nera, 1966).
Al contempo, la sua macchina fotografica restituisce il valore sociale e simbolico del rito, immortalando le
tradizioni sacramentali di episodi come la Via Crucis di Barile, la più antica della Basilicata, e la Processione
di San Rocco ad Acquaro, detta degli “Spinati”. Le fotografie di Carbone rivelano i significati insiti in
antiche pratiche devozionali che trascendono il sacro per abbracciare una dimensione comunitaria e
collettiva.
CARBONE 100 I racconti di una vita. Fotografie dal 1954 al 1990 è un progetto di mostra diffusa in quattro
tappe.
La Galleria Nazionale di Cosenza accoglie il nucleo centrale del progetto, con foto e documentari che
raccontano il rapporto di Carbone con artisti e performer che hanno segnato il mutare dello scenario artistico del
Novecento. Tra le opere più significative, la documentazione delle performance tenutesi in occasione del
Decennale del Nouveau Réalisme a Milano nel 1970 e della Settimana Internazionale della Performance a
Bologna nel 1977. La Biblioteca Stefano Rodotà del Liceo Classico B. Telesio presenta gli scatti del
soggiorno in Lucania compiuto da Carbone con Carlo Levi e che ricalcano e testimoniano i luoghi di Cristo si è
fermato a Eboli. Il MAON Museo d’arte dell’Otto e Novecento di Rende ospita, il 14 dicembre, una giornata
di studio sulla resilienza e sul legame fra arte e rinascita, con un focus sulle fotografie dedicate al terremoto del
Belìce del 1968 e successiva ricostruzione, e la realizzazione a Gibellina nel 1990 dell’installazione La montagna
di sale di Mimmo Paladino.
Mario Carbone, nato nel 1924 a San Sosti, Cosenza, è una delle figure più rappresentative della
fotografia e del cinema documentario italiano del XX secolo, vincitore di prestigiosi riconoscimenti, tra cui
il Premio San Marco al Festival di Venezia e il Nastro d’Argento per la miglior fotografia in bianco e nero. Il suo
obiettivo ha catturato con sensibilità e acume i grandi mutamenti sociali e artistici del Dopoguerra, raccontando
per immagini la realtà italiana con uno sguardo che ha saputo unire la testimonianza visiva all’analisi sociale.
Carbone è l’emblema di una stagione culturale di grande fermento, popolata da figure il cui pensiero, rivolto ai
temi sociali, non è stato da questi circoscritto poiché in grado di tradurre la realtà dell’uomo dalla sua condizione
più intima ed esistenziale al suo movimento collettivo e disordinato. Figure come Pier Paolo Pasolini, Giulio Carlo
Argan, Elsa Morante e altri, che hanno fatto della disamina della cultura sociale il loro spazio d’azione. E Mario
Carbone ha catturato questo spazio, questa realtà, questo movimento, con la mente e con la macchina, nel
ruolo di fotografo, direttore della fotografia e regista, grazie anche alla casa di produzione D.A.R.C. da lui
fondata. Nel corso del secondo Novecento ha prodotto l’immaginario di contenuti che ancora oggi ci descrive e
ci identifica, in un modo che egli stesso ha definito “intuitivo, spontaneo e non meditato”. Dal viaggio con Carlo
Levi in Lucania nel 1960 alle prime immagini dell’alluvione di Firenze del 1966, il cui docufilm Firenze, novembre
‘66 gli valse prestigiosi riconoscimenti, tra cui il Premio San Marco al Festival di Venezia e il Nastro d’Argento per
la miglior fotografia in bianco e nero. E ancora i grandi sconvolgimenti del ’68 italiano come il terremoto del
Belice e la manifestazione studentesca di Valle Giulia a Roma. Testimonianze che, proprio come la
documentazione artistica che ha impiegato larga parte della sua produzione, si lasciano interpretare per il solo
privilegio, dato e dovuto, di rappresentare un periodo troppo denso di relazioni e troppo esteso di avvenimenti
per essere descritto solo con le parole. Ecco allora che le immagini di Mario Carbone vengono in soccorso
depositando contenuti, sedimentando sensazioni, accompagnando la presenza della storia.