Sono passati 70 anni dalle elezioni del 18 aprile del 1948. Erano le prime vere elezioni politiche italiane: dopo aver scritto insieme la Costituzione, i partiti si sfidavano per governare il Paese. La posta in gioco, in un clima dominato dalla guerra fredda, era la collocazione dell’Italia: o sotto l’ombrello degli Stati Uniti o nell’orbita dell’Urss di Stalin. Si scontravano due blocchi. Da una parte la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi, dall’altra il Fronte Popolare costituito dal Pci di Palmiro Togliatti e dal Psi di Pietro Nenni.
Il protettivo scudo crociato contro il barbuto Giuseppe Garibaldi, scelto dalla sinistra come simbolo popolare e rivoluzionario. Fu una campagna elettorale dura, cattiva, senza esclusione di colpi. O di qua o di là: era impossibile rimanere indifferenti, e infatti a votare fu il 92% degli elettori. Praticamente tutti, tranne i troppo anziani, i troppo malati e i fascisti irriducibili. I leader si sfidarono nei comizi nelle mille piazze d’Italia. Tutti i muri di città e paesi furono tappezzati da manifesti che, in un’epoca pre-televisiva, affidavano ai disegni e agli slogan il compito di catturare il lato emotivo degli elettori. La guerra della propaganda, specchio della guerra fredda, la vinse senza alcun dubbio la Dc. I comunisti si accontentarono del totem di Garibaldi.
La Dc invece capì che la propaganda era la chiave giusta per arrivare al cuore degli elettori moderati. Arrivarono slogan destinati a passare alla storia, come quello di Giovanni Guareschi: ‘Nel segreto dell’urna Dio ti vede, Stalin no’. Oppure i manifesti con i cosacchi sovietici o con lo scudo che arresta una falce e un martello lanciati da una mano nemica.
Settant’anni fa i sondaggi erano ancora di là da venire, l’incertezza dominava in entrambi gli schieramenti. A Pescara, pochi mesi prima, alle elezioni comunali avevano vinto nettamente i partiti della sinistra socialcomunista. Nessuno poteva escludere che lo stesso risultato potesse ripetersi a livello nazionale. Per costruire la vittoria, De Gasperi utilizzò due armi pesanti. La prima fu mobilitazione della Chiesa, che su indicazione di Papa Pio XII diede vita ai Comitati Civici e mobilitò tutti i parroci e tutte le parrocchie nella campagna anticomunista, con tanto di processioni della Madonna pellegrina. La seconda fu il sostegno degli Stati Uniti, che proprio a ridosso delle elezioni italiani avevano dato il via al piano Marshall, con ingenti finanziamenti per la ricostruzione.
De Gasperi, fino a pochi mesi prima alleato di Togliatti nel governo spinse sull’acceleratore dell’anticomunismo: ‘Noi conosciamo il duplice sistema comunista: utilizzare il mezzo democratico e parlamentare e contemporaneamente riservarsi il ricorso alla forza e prepararlo. Oggi belano i comunisti, ma ben conosciamo le loro zanne e lo zoccolo da caproni’. Togliatti replicava a muso duro: ‘De Gasperi vuole la confusione, cerca la rissa. Per questo fa appello alla paura; per questo semina il panico; per questo evoca fantasmi di torbida morbosità medievale’. Ma la verità è che più si avvicinava il voto, più il fronte della sinistra doveva giocare in difesa, incapace di tirarsi fuori dal mito negativo del bolscevismo russo pronto a mangiarsi l’Italia in un solo boccone. I risultati furono un trionfo per De Gasperi. Il 18 aprile la Dc conquistò il 48,5% dei voti e il Fronte socialcomunista si fermò al 31.
Gli italiani avevano fatto la loro scelta: non volevano finire nel campo sovietico e, per convinzione o per mancanza di alternative, affidavano le loro sorti al partito cattolico, centrista, moderato. Una grande responsabilità che la Dc si caricò sulle spalle per i successivi 40 anni, fino a esserne schiacciata.
Ma quando si ricorda quella campagna elettorale la domanda da porsi è una sola: che cosa sarebbe accaduto in Italia e in Europa se avesse vinto ‘Garibaldi’?