Non c’è alcun dubbio che il nostro Paese stia attraversando un momento politico al quale difficilmente si possono applicare i paradigmi del passato per tentare di decifrare gli accadimenti, ma è perlomeno strano che anche nei Partiti che si richiamano a valori e tradizioni che hanno fatto la Storia d’Italia si faccia a gara per omogeneizzarsi verso il basso con “il nuovo che avanza”.
Mi viene difficile immaginare solo cinque anni fa lo stesso silenzio politico che ha invece oggi suscitato l’autosospensione dal PD di un nutrito gruppo di consiglieri regionali.
Una autosospensione che non li ha portati, però, a lasciare la maggioranza: quindi, viene spontaneo chiedersi da cosa si stiano autosospendendo.
Un andazzo, questo, che è figlio del declino, ormai affermatosi in Italia e in maniera più accentuata in Calabria, del concetto stesso di partito.
L’impressione generale, infatti, è che non cambi proprio nulla. E questo perché da tanto, troppo tempo, non esiste più nemmeno il simulacro di un Partito. Questo non solo nell’organizzazione, fatta di organismi, iniziative e cariche, ma della stessa idea di corpo associativo e comunità di regole e legami.
Basta guardare a quanto accade in alcuni consigli comunali, primi tra tutti i due principali dell’area urbana, dove i consiglieri iscritti seguono, nei voti come nella linea politica espressa, ragioni del tutto personalistiche e completamente confliggenti con quanto sostenuto in campagna elettorale dalla coalizione che li ha espressi. Il risultato è quello di minare alla radice la credibilità di un simbolo, al quale si dichiara di appartenere, quella dei compagni che con mille difficoltà create dalla assenza del Partito portano avanti con coerenza le posizioni votate dagli elettori, che hanno loro attribuito un ruolo difficile ma indispensabile in democrazia, quello dell’opposizione, del controllo e della vigilanza sull’azione della maggioranza.
E’ così saltata ogni regola, compresa quella del rispetto reciproco tra iscritti allo stesso Partito e resta solo il camaleontico bisogno di accasarsi alla meno peggio in vista di prossime tornate elettorali.
Va molto di moda tra chi pensa di poter superare la mancanza di un Partito il sentirsi svincolato dalla propria comunità, esercitare la lotta per il potere fine a se stesso e recuperare la perduta credibilità con il ricorso al “civismo”, al quale si fa sempre più spesso riferimento. Ma è vera adesione al civismo o è una posizione di comodo che si traduce in ingovernabilità, come sa bene il presidente Oliverio?
Possiamo rilevare che intanto, mentre da parte di alcuni rappresentanti istituzionali si dispiegano queste strategie gattopardesche, quasi 2000 cittadini calabresi, per la maggior parte donne, chiedono che venga approvata la legge sulla doppia preferenza di genere nelle elezioni regionali. Il voto è calendarizzato per il mese di settembre ma pochi tra i consiglieri chiamati a votarla ne parlano. Non vi fa alcun cenno neppure il Presidente della Giunta regionale, che pure in più occasioni ne aveva promesso l’approvazione.
E allora la domanda nasce spontanea: chi può credere al civismo se la sua prima forma, quella della partecipazione femminile, da sempre limitata nei numeri, viene esclusa? Dovremmo piuttosto cercare di allargare questo rinnovamento convincendo anche i giovani under 30 ed altre categorie oggi escluse a fare la stessa richiesta di impegno diretto, e non alzare mura contro l’ingresso di nuovi soggetti nel mondo della politica!
Consapevoli che nessun parlamento locale o nazionale o europeo possa esistere e reggersi senza i partiti mentre dietro le liste civiche ci sono spesso interessi inconfessabili, piuttosto che inseguire il “civismo del gatto e della volpe” ed in attesa di vedere svelato chi sia Mangiafuoco, cerchiamo di recuperare la credibilità di quello che siamo, riprendiamo a fare politica seria, lavoriamo per la ricostruzione di un centro sinistra riformista e solidale che oggi manca sia al popolo che alle classi dirigenti del Paese.
E soprattutto, recuperiamo l’etica della militanza, perché non potremo mai recuperare la fiducia degli elettori se prima non recuperiamo il rispetto di quello che siamo e che vorremmo essere.