In Calabria sognavamo tutti sul finire del secolo scorso, quando si insediava al porto di Gioia Tauro un gruppo internazionale leader nella movimentazione di contenitori che cambiava all’improvviso il destino di quella che era una cattedrale nel deserto. Sembrava di aver scoperto un giacimento di petrolio immenso ed inesauribile che avrebbe portato finalmente lavoro e prosperità alla regione più povera d’Italia. Quando Mister Ravano chiese la concessione del porto per 50 anni a vantaggio del Gruppo Contship, il Governo nazionale non fece una piega. Anzi accompagnò il piano di sviluppo proposto dallo stesso Gruppo con significativi investimenti. In pochi anni il porto divenne leader nel Mediterraneo nel settore del trasbordo dei contenitori, la principale struttura economica della regione, con una formidabile potenza occupazionale. Numero di navi in crescita, volumi di traffico da record, treni merci operativi notte e giorno, cerimonie e passerelle politiche con il sorriso. Tutti a vantare meriti e prospettare scenari idilliaci. Ma c’era sin dalle origini una dissonanza di fondo tra le aspettative della comunità calabrese, quelle delle lobby portuali del Nord Italia e quelle del Gruppo Contship.
Le aspettative della popolazione calabrese erano quelle della crescita economica e sociale indotta su scala regionale, attraverso l’insediamento di imprese nel retroporto, la creazione di un interporto, l’apertura ai mercati internazionali, l’affermazione di un nuovo modo di fare sviluppo, la liberazione dalla piovra mafiosa attraverso la libertà insita nel lavoro stabile e dignitosamente remunerato. I porti del Nord vedevano invece in Gioia Tauro una minaccia ai loro interessi e i vertici delle corporazioni nazionali della portualità e della logistica tramavano per sabotare il corso degli eventi; e lo hanno fatto più volte e sempre in maniera pesante, con la collusione di forze politiche compiacenti. La Contship, dal canto suo, voleva piena libertà di agire indisturbata, proteggendo il proprio fortino di interessi; per anni si è affermato che il transhipment era l’unica mission del porto, incompatibile con altre soluzioni di crescita e molti politici e cultori della materia le davano ragione. In questo contesto è mancato, purtroppo, un ruolo attivo ed autorevole delle istituzioni e della politica. La lista degli errori, delle omissioni, dell’agire all’insegna della mediocrità e delle pratiche clientelari spicciole sarebbe lunga da scrivere.
Negli ultimi 10 anni, dopo la crisi internazionale del 2008, il sogno della Calabria è diventato un incubo; il porto appare inesorabilmente in declino e non si assiste più alle passerelle di politici festosi ed ottimisti. I traffici container tendono a diminuire. Intorno al porto fanno brutta figura capannoni vuoti, il territorio è lasciato all’incuria totale, nelle aree di sviluppo industriale l’unico insediamento di rilievo è la baraccopoli di migranti miserabili, triste immagine di un modello di impresa e di accoglienza gestito in modo vergognoso dai governi nazionali e regionali. La scure si abbatte anche sull’occupazione con la perdita di circa 400 posti di lavoro; emergono le insufficienze contrattuali delle forze sindacali, troppo spesso eterodirette da vertici romani non all’altezza e piegati al dominio dei partiti. Ci si illude con l’entrata in scena del colosso MSC, con la programmazione del nuovo gateway ferroviario, con il rilancio della movimentazione auto, con la chimera della ZES, con il disegno delle nuove Autorità Portuali di Sistema che assegna a Gioia Tauro il ruolo di governo di un territorio che va dalla Sicilia Nord Orientale all’intera Calabria, con nuove promesse improntate al generico.
Ma i venti e i fatti vanno purtroppo in direzione contraria. Il braccio di ferro in atto fra Contship e MSC per il controllo del terminal si riverbera pesantemente sulla vita del porto e a pagarne le conseguenze saranno ancora i lavoratori. Non si capisce bene se il Gruppo Contship voglia continuare a giocare un ruolo attivo nel porto. Nel 2016, dopo valutazioni negative sulla produttività di MCT, i vertici del Gruppo hanno licenziato in tronco l’intero management calabrese, manifestando tuttavia una volontà di rilancio; se da un lato Contship investe sul gateway ferroviario attraverso la sua partecipata Sogemar, dall’altro però sembra orientata al disimpegno al punto che i veicoli per la movimentazione in piazzale sono da rottamazione con rischi conseguenti sulla sicurezza. Il gateway ferroviario è stato progettato ad uso e consumo della Sogemar ma non è mai stato reso pubblico il progetto del sistema strutturale ed operativo; a tutt’oggi pare non sia previsto l’allaccio diretto a Nord dei binari del piazzale intermodale, il che significherebbe vanificare il potenziale interportuale e la funzionalità di scambio gomma/ferro lato terra.
La regione continua a stare nell’ombra e pare giocare a perdere; la partita dell’accorpamento delle ASI (Aree di Sviluppo Industriale) nell’ente unitario CORAP si è arenata da 3 anni con il conseguente immobilismo di un settore strategico. Il Presidente del governo regionale interviene timidamente sulle vicende del porto e non esprime la necessaria autorevolezza in sede nazionale. Unica nota di rilievo è la elaborazione di un Piano regionale dei Trasporti e dello strumento della ZES che tuttavia sono lungi dal tradursi in ricadute operative immediate.
Intanto il Porto continua ad essere senza Presidente di Autorithy, ovvero l’unico senza guida su uno scenario nazionale fatto di volpi di antico mestiere. Il neo ministro Toninelli su questo versante sta ancora meditando, ma sorprende per decisionismo allorchè, forse cedendo a pressioni siciliane, si sbilancia proponendo una nuova Autorità Portuale dello Stretto staccata da Gioia Tauro, con un devastante effetto di indebolimento del nostro porto e dell’intera Calabria. Non si vede purtroppo un’azione politica determinata sulla contesa in atto fra Contship e MSC, un’opera di mediazione seria. Nel contempo la partita straordinaria della “Via della seta” avanzata dal governo cinese, che ha fatto spiccare il volo ai porti greci di Atene e Salonicco (il Pireo in mano ai cinesi è passato da mezzo milione a oltre 4 Milioni di container in appena 3 anni), e che potrebbe attribuire al Sistema portuale calabrese un ruolo di punta su scala nazionale ed internazionale, viene lasciata in mano alle già citate lobby del Nord.
E si arriva in questi giorni all’assurdo del fermo del porto per mancanza di navi in arrivo. Siamo alla follia! Occorre dire che la pazienza delle forze sindacali non ha eguali in Italia; nonostante tutto si continua a sperare e a cercare il dialogo, ma manca davvero la Politica. Il porto vive ormai da troppi mesi scenari da incubo. Unica nota positiva è quella di alcuni imprenditori calabresi come Pippo Callipo che, malgrado tutto e in controtendenza, a testa alta e a proprio rischio, investono nel porto. Non lasciamoli soli.