Grandi sono le catastrofi naturali che si stanno succedendo da tempo, grandi sono i numeri dei morti, degli sfollati, dei migranti “ambientali”, grandi sono i danni economici e sociali che i cambiamenti climatici portano con sé. Nonostante dopo ogni alluvione, dopo ogni tromba d’aria, fenomeni cui ormai ci stiamo via via abituando, facciamo la conta dei danni, quando non siamo costretti a piangere la perdita di qualche vita umana, però si continua a far finta di non capire che queste sono le prime conseguenze del riscaldamento globale.
Così accettiamo supinamente l’imposizione di “grandi opere”, buone sì per i mercati e gli appetiti delle grandi aziende, ma che troppo spesso rappresentano l’ennesimo delitto nei confronti di territori e vite umane. Come dice bene Nicoletta Dosio, bisogna contrastare “questo meccanismo volto a silenziare le voci dal basso di chi difende i beni comuni, l’ambiente e il senso del limite in un modello di sviluppo che sta minando le radici stesse della vita. Percepiamo un attacco ad un mondo più vasto del movimento NOTAV”.
Per questo sabato 8 dicembre, giorno in cui ricorre la data della liberazione del presidio di Venaus in Val Susa, una data simbolica importante per tutto il movimento ambientalista e anticapitalista da anni, presenti nelle diverse piazze d’Italia, non solo per manifestare il nostro dissenso ad un’opera dannosa come la TAV ma anche per ribadire la nostra volontà di difendere l’ambiente in cui viviamo, e quindi le nostre vite stesse. È diventata urgente, quindi, l’esigenza di difendere la nostra sopravvivenza dopo anni di violenze causate ai diversi ecosistemi, che di eco non hanno più molto. È fondamentale invertire la rotta del consumismo, di quello che alcuni si ostinano a definire “sviluppo”.
Il nostro territorio non è immune a questa follia, a partire da quel fantomatico Ponte sullo Stretto, sempre buono per ogni tornata elettorale, sempre pronto per essere costruito ma di cui manca ancora un progetto esecutivo, e questo la dice lunga sull’attendibilità dei diversi sostenitori del ponte. Intanto la politica pare piegarsi per l’ennesima volta agli interessi dei vettori privati, con l’intenzione di spostare l’attraversamento dei tir al porto di Reggio: il solo pensare l’aumento spropositato dei mezzi pesanti nella rampa di accesso al porto reggino fa capire quanto la tragedia del Ponte Morandi di Genova non abbia insegnato nulla.
Ma grandi opere sono anche quelle che interessano il settore dei rifiuti, in una regione come la Calabria svuotata da servizi ed infrastrutture fondamentali: ultimamente infatti sentiamo parlare sempre di più di apertura di discariche da chi prima parlava di impianti di riciclo e di rifiuti zero, sentiamo parlare di “termovalorizzatori” nuovi, e riapertura di siti vecchi e in disuso, come nel caso della discarica di Comunia a Motta S. Giovanni. L’elenco al riguardo è molto lungo, ma non si tratta di “mero” ambientalismo: difendere i territori da grandi opere e speculazioni vuol dire lottare per migliori condizioni di salute, più posti di lavoro e maggiore redistribuzione della ricchezza.
Le battaglie quindi non mancano, perché serve essere presenti non solo nelle piazze ma all’interno dei territori per difenderli prima che vengano danneggiati, come i comitati No Tav, No Tap, No Muos e tanti altri movimenti ambientalisti, di lotta sociale, fanno da anni ma di certo non stando nei “salotti”, nelle “stanze” dei bottoni, ma consapevoli che l’unico potere che può ribaltare le cose è quello popolare.
Da Torino a Niscemi, passando per la Terra dei Fuochi, il Salento e il Veneto, un popolo intero si farà sentire, per dire una cosa semplice: non abbiamo bisogno di spendere soldi per grandi opere inutili, ma di investimenti e lavoro dignitoso per mettere in sicurezza i territori, ricostruire scuole e ospedali, ridurre emissioni e veleni. Non abbiamo bisogno di fare regali alle ecomafie, ma di prenderci cura della nostra terra e del nostro futuro!