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Per la prima volta una donna è presidente degli oncologi italiani

Redazione

Si chiama Stefania Gori ed è la prima presidente donna degli oncologi italiani. Responsabile dell’Oncologia dell’Ospedale Sacro cuore di Negrar (Verona), da oggi sarà a capo dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), che conta circa 3mila professionisti iscritti ed ha una storia di 44 anni. Una prima presidente donna, proclamata oggi ufficialmente al XIX Congresso nazionale Aiom in corso a Roma, che per il prossimo biennio del suo mandato si pone 8 obiettivi prioritari ed un messaggio chiaro e di incoraggiamento da rivolgere alle colleghe donne.

“Sono tanti i passi avanti fatti in questi anni dall’oncologia – afferma Gori – e tante le nuove problematiche, a partire dalla sostenibilità economica per l’arrivo di farmaci sempre più innovativi”. Tanto è stato fatto, rileva, ma tanto ci sarà da fare. Otto sono però gli obiettivi prioritari nell’agenda della prima presidente Aiom: “La riduzione del carico della malattia tumorale, puntando ad un accesso sempre più ampio alle nuove terapie per tutti i pazienti su tutto il territorio. Punto poi ad un maggiore confronto con le istituzioni sanitarie; ad identificare in modo sempre più chiaro il profilo dell’oncologo medico; a rafforzare la posizione dell’oncologia nel Sistema sanitario nazionale”. Ed ancora: “Credo sia fondamentale – sottolinea – anche supportare la ricerca oncologica no-profit ed assicurare una maggiore informazione ai cittadini. Nella mia agenda altro obiettivo è inoltre realizzare una maggiore collaborazione con le altre società scientifiche ed intensificare i rapporti tra le realtà Aiom a livello regionale e centrale”.

Ma cosa significa essere la prima donna a presiedere l’associazione? “Le oncologhe nell’Aiom sono oltre mille – afferma – eppure è la prima volta che una donna diventa presidente. E’ un fatto significativo, legato alla constatazione che il mondo dell’oncologia italiano è stato da sempre all’insegna di un certo maschilismo, ed anche oggi sono tante le oncologhe ma pochissime quelle con ruoli dirigenziali”. Il messaggio, sottolinea, “è dunque quello di incitare le donne a concorrere ed aspirare anche a ruoli di maggiore responsabilità, perché hanno le competenze e le capacità necessarie. Serve una grande tenacia, ma soprattutto è necessario crederci”. Infatti, rileva, “spesso il problema è più delle donne che degli uomini: di come ci poniamo nei confronti della carriera, sentendoci in vari casi ‘inadeguate'”. C’è poi il ‘freno’ della famiglia e dei figli: “Molto spesso si pensa che siano incompatibili con un percorso lavorativo di responsabilità. Ma non è necessariamente così”. Quello che serve davvero, conclude Gori, “ed a cui dobbiamo mirare, è un profondo cambiamento di mentalità”. (di Manuela Correra)

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