Il 30% delle spiagge calabresi deve essere libero. È quanto stabilisce la legge regionale della Calabria. Una percentuale bassa, bassissima, che fa coppia con le altre norme regionali.
È quanto emerge dal dossier di Legambiente “Le spiagge sono di tutti”, redatto per denunciare il fenomeno della privatizzazione delle coste italiane, delle concessioni senza controlli e dei canoni bassissimi a fronte di guadagni giudicati “enormi” per gli stabilimenti a fronte “di un misero introito per lo Stato” (nel 2016 ha incassato poco più di 103 milioni di euro).
La situazione negativa si registra in Emilia-Romagna, dove con la Legge Regionale 9 del 2002 si impone un limite minimo (ed irrisorio) del 20% della linea di costa dedicato a spiagge libere, ma solo nei pochi tratti dominati dune e zone umide viene rispettata la Legge.
Le altre realtà non vivono meglio, dal momento che le percentuali sono molto basse come in Molise (dove la Legge Regionale del 2006 prevede il 30% di spiagge libere ma non è applicata dai PSC dei 4 Comuni costieri), nelle Marche del 25%, mentre in Campania ed Abruzzo solo del 20%. Addirittura in cinque regioni (Toscana, Basilicata, Sicilia, Friuli Venezia Giulia e Veneto) non esiste nessuna norma che specifichi una percentuale minima di costa destinata alle spiagge libere o libere attrezzate.
Nella Penisola sono ben 52.619 le concessioni demaniali marittime, di cui 27.335 sono per uso “turistico–ricreativo” e le altre distribuite su vari utilizzi, da pesca e acquacoltura a diporto, produttivo (dati del MIT).
Si tratta di 19,2 milioni di metri quadri di spiagge sottratti alla libera fruizione. Se si considera un dato medio (sottostimato) di 100 metri lineari per ognuna delle 27 mila concessioni esistenti, si può stimare che oltre il 60% delle coste sabbiose in Italia è occupato da stabilimenti balneari.
Legambiente affronta poi la questione dei prezzi, che risulta strettamente connessa a quella dei canoni demaniali.
Secondo i dati del 2016 lo Stato incassava infatti poco più di 103 milioni di euro dalle concessioni a fronte di un giro di affari stimato da Nomisma in almeno 15 miliardi di euro annui.
Si tratta di 6.106 euro a chilometro quadrato contro una media di entrate per le casse pubbliche di circa 4 mila euro all’anno a stabilimento.
I dati per Regione in aree costiere dove ci sono migliaia di stabilimenti fotografano una situazione molto particolare.
Ecco che ai primi due posti si attestano Toscana e Liguria con poco più di 11 milioni l’anno. Poi vengono Lazio (10,4 milioni), Veneto (9,527 milioni), Emilia-Romagna (8,9 milioni), Sardegna, Puglia e Campania (tutte sopra i 7 milioni) e Calabria con poco più di 5 milioni. E ancora, in Basilicata 452mila euro, in Sicilia gli incassi sono appena di 81.491 euro.
A fronte di questi dati Legambiente chiede una legge quadro nazionale per tutelare gli arenili italiani e i diritti di tutti i cittadini ad avere lidi liberi, gratuiti e accessibili.
Il provvedimento dovrebbe prevedere quattro punti chiave: almeno il 60% delle spiagge deve essere lasciato alla libera fruizione; occorre premiare la qualità nelle assegnazioni in concessione; definire canoni adeguati e risorse da utilizzare per la riqualificazione ambientale; infine, garantire controlli e legalità lungo la costa.