Il 14 giugno scorso, in qualità di membro della VII Commissione permanente (Cultura) del Senato, ho scritto una nota al Segretariato Regionale Calabria del MiBACT, e per conoscenza alla Direzione Generale ABAP, cui fanno capo tutte le Soprintendenze italiane, per avere notizie certe in merito alla sorte dell’ex Jolly Hotel di Cosenza: l’ecomostro in predicato di diventare il “Museo di Alarico”. A guardare il rendering del nuovo edificio, sarebbe forse più corretto dire in predicato di trasformarsi nel “Museo di Alarico”: il frutto istantaneo di una operazione di magia.
Solo a sentirne parlare, quella del “Museo di Alarico” mi era sembrata, da archeologa e Deputato di Storia Patria, una operazione discutibile sotto ogni profilo. Il rendering, però, mi ha lasciata perplessa assai più dei commenti pittoreschi degli amici cosentini, preoccupati dall’enorme e sfolgorante pacco dono in procinto di posizionarsi (o piuttosto di atterrare) alla riqualificanda confluenza dei fiumi Crati e Busento. Ho subito dubitato del ‘mio’ Ministero, lo confesso, immaginando che avesse con leggerezza autorizzato l’ennesimo scempio in terra di Calabria, ma ho presto appurato che non è così, o almeno non esattamente.
Le perplessità sulla scelta ‘barbarica’ compiuta dell’Amministrazione del capoluogo bruzio sono poca cosa, però, rispetto a quelle che ho ricavato dalla ricostruzione dell’iter amministrativo del progetto. Sul Portale Trasparenza Città di Cosenza si legge che l’appalto aveva un importo di euro 2.763.000 (2.579.000 di lavori + 124.000 euro di progettazione definitiva/esecutiva) ed è stato aggiudicato, mediante gara con procedura aperta sottosoglia, alla bolognese Consorzio Italiano Costruzioni Manutenzioni e Servizi Società Cooperativa. Il ribasso sulla base d’asta ha fissato l’aggiudicazione ad euro 2.154.113,07. Significa che il Comune può contare su un tesoretto di economie di gara pari a circa 600.000 euro, poco più dell’importo che, con la rimodulazione del progetto approvata nel 2015, spetta alle somme a disposizione dell’Amministrazione.
La comunicazione dell’avvenuta aggiudicazione è il documento più recente tra quelli caricati sul Portale Trasparenza, datato e pubblicato il 6 aprile scorso, cioè due anni e un mese dopo il termine fissato per la presentazione delle offerte (06.03.2016), peraltro rinviato più volte, da ultimo per la diffida dell’Ordine dei Geologi, e sei mesi dopo l’espletamento dalla gara, svoltasi il 4-5 ottobre 2017. La gara, dunque, è di pochi mesi fa, benché il Sindaco, nella foga di replicare sui social alle osservazioni critiche del prof. Battista Sangineto abbia digitato: “La gara è stata espletata nel 2015”.
Non è un errore da poco, stante l’entrata in vigore, il 19 aprile 2016, del Nuovo Codice degli Appalti e dei Contratti Pubblici, e sempre che di errore si tratti.
Devo notare, infatti, che la documentazione ufficiale è afflitta da più d’una ‘incertezza’ cronologica. Nella nota del dirigente del Settore 7- Infrastrutture e Mobilità pubblicata il 27.11.2015 si legge che la data di presentazione dei plichi contenenti le offerte è posticipata al 5 gennaio 2015 (sic); nella citata comunicazione di aggiudicazione del 06.04.2018, invece, la determinazione dirigenziale del 23 marzo che l’ha sancita è attribuita al 2014 (sic). Fa specie, inoltre, che nella determinazione dirigenziale n. 1673/2018, pubblicata solo il 5 luglio u.s., la premessa richiami l’autorizzazione all’indizione e avvio delle procedure di gara, datata 16.10.2015, ma non l’espletamento della stessa due anni più tardi. I refusi (se tali sono) e le lacune generano confusione e la confusione, in un procedimento amministrativo, equivale ad una opacità di fatto.
Non giova alla trasparenza dell’operazione Alarico targata Occhiuto, poi, venendo all’esercizio della tutela del patrimonio architettonico e paesaggistico, prerogativa della Soprintendenza (oggi ABAP, già BAP), il fatto che in data 4 marzo 2015 l’allora Soprintendente espresse un “parere favorevole…limitatamente alla compatibilità paesaggistica dell’intervento previsto”. Con buona pace del Sindaco, quanto sopra non configura una autorizzazione paesaggistica, tant’è che gli interventi di ricostruzione parziale dell’edificio, la sistemazione delle aree esterne e delle sponde fluviali in corrispondenza del manufatto sono “provvisoriamente autorizzati, considerata la necessità di aprire una concorde riflessione sulla tipologia dell’edificio e sui valori simbolici ed estetici dello stesso”.
Traducendo dal burocratese, significa che l’inserimento dell’immobile ‘ristrutturato’ nel costruito storico più prossimo all’alveo fluviale impone una meditazione (e consequenziale auspicabile illuminazione), collettiva e condivisa, tale da scongiurare il pericolo di veder nascere da un mostro un altro mostro. E tra i fattori di rischio l’arch. Garella segnala la morfologia dell’immobile che sorgerà dalle ‘ceneri’ del Jolly Hotel, implicitamente giudicato privo di interesse culturale, non meno della valenza estetica e delle implicazioni simboliche legate alla sua controversa se non discutibile intitolazione/destinazione.
Nel bando di gara, però, si legge che “per detta progettazione definitiva/esecutiva, ricadente in ambito territoriale sottoposto a tutela paesaggistica ai sensi art. 142, c. 1, l. c, si dovrà acquisire il nulla osta paesaggistico definitivo la cui relazione è redatta ai sensi del DPCM 12.12.2005, che mostri la compatibilità delle opere proposte, rispetto ai valori paesaggistici del contesto di riferimento, in particolare dovranno essere valutati e motivati gli elementi indicati nel parere rilasciato dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici n. 0014505 del 03/11/2014 che si allega alla relazione generale”. Qualcosa non quadra e la confusione è evidentemente un tratto distintivo della documentazione di progetto ab origine: il protocollo e la data riportati sopra non sono quelli del parere espresso dal Soprintendente (04.03.2015) ma identificano la progettazione trasmessa alla Soprintendenza dalla Provincia e poi integrata dal Comune.
Com’è noto, infatti, il Jolly Hotel è stato ceduto al Comune di Cosenza dall’ATERP dopo una gestazione a dir poco elefantiaca che da ultimo ha visto i dipendenti ATERP non così lesti a trasferirsi come il Sindaco avrebbe voluto, né a farlo gratuitamente. Ma è meglio smetterla con le rievocazioni storiche e tornare all’oggi, concentrando l’attenzione sui dati di fatto, le competenze e le intenzioni dell’Amministrazione dei Beni Culturali.
Alla mia richiesta il Segretariato Regionale del MiBACT ha risposto, a fine giugno, che non esiste la pronuncia della Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale prodromica alla demolizione del Jolly Hotel. L’esito della valutazione dell’interesse culturale, se mai fosse portata all’ordine del giorno in quel consesso, può ritenersi scontato, dal momento che nell’ex albergo si riconosce comunemente un ecomostro, ma a rigore la procedura avrebbe dovuto essere attivata ugualmente, poiché la pronuncia non spetta alla Soprintendenza. Il parere sulla compatibilità paesaggistica è invece in capo esclusivamente a quella, mi ricorda il dott. Patamia, segnalandomi la possibilità di ottenere da detto Ufficio maggiori informazioni.
Non farò richiesta di accesso alla SABAP, però, perché fin dal 14 giugno ho coinvolto direttamente la Direzione Generale, mettendola in indirizzo per conoscenza. Confido che ciò valga ad attirare l’attenzione dell’Ufficio centrale su quanto esposto poc’anzi e sull’altro nodo, quello vero, riguardante la progettazione del “Museo di Alarico”. Teste il bando, trattasi di un appalto integrato per cui la ditta aggiudicataria, investita dell’affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione dei lavori, oggi vietato dall’art. 59, comma 1 del D. Lgs. 50/2016 (Nuovo Codice degli Appalti), si è certamente attenuta al dettato del bando.
Nulla lascia supporre, però, che la “riflessione condivisa” di cui parlava l’arch. Garella sia mai partita né mai abbia prodotto “il nulla osta paesaggistico definitivo”. Nonostante il tono bonario di quelle righe, però, a marzo 2015 il Soprintendente BAP non ha semplicemente dato un suggerimento ma ha subordinato l’autorizzazione paesaggistica alla triplice riflessione declinata in precedenza, qualificandola come necessaria.
Ciò significa, in concreto, che la ditta appaltatrice e il Sindaco non possono affatto dormire sonni tranquilli. Dovrà infatti arrivare il momento in cui il Soprintendente sarà tenuto a pronunciarsi su tipologia, valori estetici e simbolici del “Museo di Alarico”. Difficile supporre che lui stesso e i funzionari incaricati di coadiuvarlo possano, in buona fede e perfetta onestà intellettuale, avallare una progettazione definitiva legata a doppio filo a quella preliminare che, teste il rendering, francamente fa apparire il nuovo edificio altrettanto incompatibile con la Cosenza storica del vecchio Jolly Hotel. Né ha fondamento l’illusione che una demolizione ‘anticipata’ dello stabile esistente darebbe via libera all’esecuzione di quel progetto, obbligando il Ministero Beni Culturali, davanti alle macerie fumanti, a dare immediatamente il nulla osta paesaggistico ad un edificio purché sia. Un ecomostro dorato è pur sempre un ecomostro.