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Mortalità infantile: alla Calabria il triste primato

Redazione

Premessa e definizioni. La mortalità infantile[i] è un fenomeno particolarmente importante sia perché la sua riduzione ha contribuito fortemente all’aumento della sopravvivenza generale [ii] sia perché la sua misura è un buon indicatore dello stato di salute di una popolazione e più in generale ne rispecchia lo sviluppo socio economico. Il rischio di morte decresce rapidamente nel primo anno di vita e al suo interno, nei paesi economicamente più avanzati, il maggior numero di decessi avviene nel primo mese e più in particolare nella prima settimana. Le cause di morte del primo anno possono essere suddivise in due grandi categorie: esogene ed endogene. Sono chiamate esogene quelle morti dovute a malattie infettive o legate a condizioni ambientali e igieniche e si riscontrano sempre (o quasi) oltre il primo mese (mortalità post- neonatale). Le morti endogene, invece, si hanno con alta percentuale nel primo mese e sono correlate a fattori biologici come salute della madre, le malformazioni congenite, circostanze legate al parto e alla maggiore o minore efficienza nella gestione della gravidanza e nell’assistenza al parto. Per questi motivi lo studio di tale fenomeno e delle sue cause può essere limitato all’esame della mortalità neonatale e post-neonatale, sufficiente a cogliere, pur con qualche cautela, il ruolo che il progresso sanitario e più in generale quello socio economico ha su tale fenomeno. In questa nota seguiremo quest’approccio semplificato sia con riferimento all’intero Paese sia a livello regionale, con un’attenzione particolare alla Calabria che oggi registra il valore più alto di mortalità infantile in Italia.

Il progressivo calo della mortalità infantile. Dagli anni ’80 del 1800 in Italia si avvertono i primi progressi nell’aumento della sopravvivenza in generale e di quella infantile in particolare. Questi miglioramenti consentono al nostro Paese di entrare in transizione, passando da un vecchio a un nuovo regime demografico anche se con ritardo rispetto ad altre nazioni dell’Europa settentrionale; transizione che l’Italia completerà dopo un secolo, raggiungendo un livello molto basso di mortalità[iii]. Ciò è stato possibile grazie alle trasformazioni che hanno interessato l’Italia dopo l’Unità e, sopratutto, dopo la seconda guerra mondiale; trasformazioni che hanno riguardato il miglioramento delle condizioni ambientali, di quelle socie economiche e culturali, con la quasi scomparsa dell’analfabetismo, i progressi della scienza e della medicina, le riforme politico-sanitarie, come quella ospedaliera del 1968, e l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale nel cui ambito è stato creato il servizio di pediatria di famiglia.

Ricordiamo che nel periodo 1863-70 in Italia si avevano 225,2 morti nel primo anno di vita per 1000 nascite viventi e che nel 1907-10 il livello era sceso a 150 per 1000 nascite viventi; nel 1931-40 a 103,9 per 1000 e nel 1941-50 a 92,4 per 1000 (A. M. Gatti, 2002; Istat, 1975). Dal secondo dopoguerra la mortalità infantile conosce un calo ancora più intenso, diminuendo da 35, 6 per 1000 del 1961-70 a 3,1 per 1000 nel 2014. In termini assoluti si è passati da 223.000 bambini che nel 1887 morivano nel primo anno di vita ad appena 1506 decessi nel 2014. Questi progressi e queste riforme non hanno però avuto un impatto uniforme su tutto il territorio nazionale per cui oggi, pur in un quadro di bassa mortalità infantile, dobbiamo registrare differenze importanti correlate alla persistente arretratezza socio economica e sanitaria di alcune aree del nostro Paese.

Le cause della riduzione della mortalità infantile. Dopo l’Unità, il fattore che ha contribuito di più a far regredire la mortalità nel primo anno di vita è stato la riduzione della mortalità per cause esogene; più contenuto è stato invece il contributo del calo della mortalità endogena. E’ possibile costatare qual è stato il ruolo di questi due gruppi di cause esaminando i valori della mortalità neonatale e post- neo natale. Infatti, nel primo decennio post unitario (1863-70) il livello di mortalità infantile, che superava allora le 200 morti per 1000 nascite viventi in tutte le regioni italiane, era soprattutto dovuto alle morti esogene e cioè all’arretratezza socio-economico culturale dell’Italia dell’epoca. Dopo sessant’anni (1921-30), grazie al processo di modernizzazione allora in atto, la mortalità infantile si riduce a quasi la metà e si osserva una contrazione in tutte le regioni sia dei livelli di mortalità neonatale che post-neonatale (A.M. Gatti, 2002). Questo trend continua anche nel secondo dopoguerra ma con caratteristiche che evidenziano il maggior contributo della parte esogena rispetto a quella endogena (Tavola 1), per cui in futuro – dato il livello molto basso ormai raggiunto dalla parte esogena – per ottenere nuovi miglioramenti nella sopravvivenza infantile si dovrà puntare a ridurre le morti endogene, e in particolare a migliorare l’efficienza nella gestione della gravidanza e nell’assistenza al parto.

La mortalità infantile in Calabria. Nella situazione sopra descritta la Calabria ha percorso un sentiero particolarmente tortuoso. Subito dopo l’Unità, il suo livello di mortalità infantile sia totale che delle sue componenti non era dissimile da quello di molte altre regioni italiane, anzi la Calabria comparativamente mostrava un valore di mortalità infantile più contenuto. Nel 1921-30, pur apparendo già il dualismo Nord-Sud, la Calabria si distingueva ancora per una più bassa mortalità infantile rispetto alle altre regioni meridionali. Caratteristica che però ha man mano perduto nel tempo: infatti, dagli anni ’90 il livello di mortalità infantile della regione si è mantenuto quasi sempre sopra la media del Sud; non solo, ma mentre le altre regioni meridionali si sono avvicinate via via alla media italiana, la Calabria si sta allontanando sia dalla media italiana sia addirittura da quella del Sud (Figura 1), certificando in questo modo un peggioramento delle condizioni socio- sanitarie della regione negli ultimi 10-15 anni.

Per un’analisi più completa del fenomeno sarebbe necessario considerare le singole cause di morte. Tuttavia, stante il loro numero elevato e la frequente esiguità degli accadimenti, questa via è sostanzialmente impraticabile. Per tale motivo si preferisce scomporre il fenomeno nelle componenti neonatale e post-neonatale. Così operando, però, non si coglierebbe appieno il ruolo avuto dalle cause endogene ed esogene perché, come già detto, mentre la mortalità dal secondo mese in poi comprende la quasi totalità delle morti esogene, così non è per i decessi del primo mese che includono invece una percentuale non trascurabile di morti esogene. Volendo superare questa difficoltà abbiamo qui impiegato il metodo biometrico proposto negli anni ‘50 del secolo scorso dal demografo francese Bourgeois-Pichat, metodo che, mediante la conoscenza del numero dei decessi che si verificano nel primo mese e dal secondo al dodicesimo mese, consente di ottenere una stima molto prossima alla realtà sia della mortalità infantile endogena sia esogena[iv]. L’istogramma in Figura 2, oltre a far risaltare il primato negativo della mortalità infantile della Calabria nel 2014, evidenzia come tale primato sia da attribuire in massima parte alla componente endogena (3,3 x 1000 nascite viventi), anch’essa la più alta in Italia, Pertanto, pur non sottovalutando la necessità di una visione unitaria in materia di salute infantile, quest’analisi ci dà un’indicazione su quali fattori indirizzare gli sforzi per migliorare la sopravvivenza di questo fenomeno in Calabria.

Sintesi. A conclusione di questa breve nota abbiamo anche stimato il numero di decessi che si sarebbero potuti evitare se il livello della mortalità infantile nella regione nel periodo 2010-2014 fosse stato pari a quello del Sud o a quello dell’Italia, assunti dunque come benchmark. Con un semplice calcolo si ottiene che nel primo scenario si sarebbero potuti evitare settantuno decessi infantili mentre nel secondo scenario ben centoventi, valori che possono quindi essere assunti come ulteriore misura del ritardo della Calabria.

Giuseppe De Bartolo, Università della Calabria


Note:

[i] La mortalità infantile si misura rapportando le morti nel primo anno di vita di un anno per 1000 nascite viventi registrate nella popolazione residente nel medesimo anno.

[ii] E che ha fatto sì che l’Italia oggi abbia una speranza di vita tra le più alte al mondo: 80,1 per il sesso maschile e 84,6 per quello femminile.

[iii] Questo trend della mortalità, osservato per un lungo tempo, rientra in quella che è chiamata la “teoria” della Transizione Demografica. In realtà più che una teoria è un modello descrittivo dell’evoluzione di lungo periodo delle componenti naturali della popolazione, le quali nel corso della loro evoluzione, percorrendo alcune fasi, passerebbero da livelli elevati a bassi valori.

[iv] Il modello biometrico proposto da Bourgeois- Pichat, costruito osservando le distribuzioni dei decessi del primo anno di vita per causa e per età di molti paesi, nella sua essenza può essere così descritto: le morti dal secondo mese in poi sarebbero per assunto tutte di natura esogena, mentre quelle esogene del primo mese sarebbero invece un quarto dei decessi dal secondo mese in poi. Di conseguenza le morti endogene si otterrebbero per differenza. Mediante questa semplice relazione è così possibile calcolare le morti esogene ed endogene del primo anno e quindi stimarne i tassi per 1000 nascite viventi.

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