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Report dell’assemblea per la IX Giornata Internazionale contro le Grandi Opere Inutili e Imposte e per la Difesa del Pianeta.

Redazione

L’ 8 dicembre a Trebisacce, in occasione della IX Giornata Mondiale contro le Grandi Opere Inutili e Imposte e per la Difesa del Pianeta e in concomitanza con diverse decine di piazze in tutta Italia, si è tenuta un’assemblea pubblica regionale che ha messo al centro della discussione le pratiche in difesa del territorio e l’urgenza di reagire alle politiche di devastazioni e saccheggio perpetrate ai danni delle nostre comunità a partire dall’urgenza di bloccare il devastante progetto del III Megalotto della S.S. 106, le concessioni di ricerca estrazione di idrocarburi in terra e in mare (in particolare la concessione “Tempa La Petrosa” sul Pollino fra Basilicata e Calabria e la perforazione di pozzi esplorativi fra la foce del Crati e Casoni, entrambi Siti di Importanza Comunitaria), la paradossale attività della centrale Enel a biomassa operante nella Valle del Mercure in pieno Parco Nazionale del Pollino e il più delirante progetto privato di una mega discarica di rifiuti speciali a Cammarata, nel cuore del distretto agricolo d’eccellenza della Piana d Sibari.

In realtà molto più numerose sono le emergenze ambientali e territoriali che flagellano la nostra regione. L’assemblea, infatti, ha visto la partecipazione di diversi attivisti provenienti da tutta la Calabria in rappresentanza delle tante lotte in difesa del territorio e contro lo sfruttamento e la devastazione delle nostre comunità locali.

Il quadro sociale uscito fuori dopo oltre 4 ore di assemblea è stato chiaro: i territori calabresi e le sue comunità hanno pagato e continuano a pagare un prezzo elevato in termini di malattie, inquinamento e devastazioni ambientali e tutto ciò nonostante la Calabria non abbia mai avuto uno sviluppo industriale che possa giustificare l’attuale scempio ambientale e socio-sanitario.

La Calabria, negli anni, è diventata la pattumiera d’Italia e, nel contempo, territorio vergine da sfruttare e conquistare (trivelle, discariche, inceneritori, grandi impianti inutili e dannosi, ecc.).

A fare cassa i soliti gruppi nazionali e internazionali (Astaldi, Impregilo, Cmc, Eni, Total, ecc.); a farne le spese l’intera comunità calabrese e, tra essa, le fasce sociali povere e precarie.

Nessuno “sviluppo” dunque, nessun posto di lavoro reale, ma soltanto false promesse elettorali; povertà, miseria e marginalità sociale oggi la fanno da padrona nel Mezzogiorno. Non è un caso se la Calabria risulta tra le Regioni più povere e depresse d’Europa e con livelli di accesso alle cure alla sanità tra le peggiori dell’Unione.

Le numerose realtà presenti sabato scorso a Trebisacce hanno portato nel dibattito le diverse urgenze ambientali e sociali in cui sono impegnate da anni, convergendo sulla necessità di porre al centro della prossima agenda sociale alcune questioni dirimenti:

tutto il territorio regionale, già abbondantemente flagellato dalla mancanza di servizi essenziali legati soprattutto alla sanità e alla viabilità, diventa di fatto territorio coloniale al servizio della predazione neoliberista che non prevede alcuna ricompensa se non in termini di inquinamento e malattie correlate, improduttività agricola e culturale, disgregazione sociale e mistificazione identitaria. 

i circa 1,5 miliardi di euro di costi imputabili all’attuale tracciato previsto dal III Megalotto della SSS106 e i tanti altri miliardi di euro sprecati per tante grandi opere inutili e dannose sparse sul territorio regionale, diventerebbero molto più utili e vicini alle esigenze delle popolazioni se fossero investiti per recuperare il grave dissesto idrogeologico, per normalizzare la situazione sanitaria, per ripristinare e migliorare la viabilità interna, interpoderale e rurale, per incrementare le attività di valorizzazione e ricerca archeologica, storica, naturalistica e antropologica e realizzare un’offerta turistica, culturale, enogastronomica e naturalistica integrata ed ecosostenibile;

ridare centralità alle forme della democrazia diretta, della partecipazione attiva e dell’autogoverno dei territori come unico antidoto alle pratiche capestro che hanno caratterizzato per decenni le politiche regionali e nazionale: rivendicare, qui e ora, la necessità che a decidere sulla propria vita e sul proprio futuro debbano essere le comunità locali e non una ristretta élite politica;

promuovere processi che vedano protagonisti gli abitanti dei territori, i comitati popolari, le organizzazioni sociali e le comunità locali nella costruzione di mobilitazioni in difesa del territorio e della salute, per la riappropriazione sociale dei beni comuni, per una nuova economia sociale territoriale che metta al centro dell’agire l’autogestione, l’autogoverno e forme sperimentali di democrazia diretta, allontanando dal proprio agire quotidiano il meccanismo della delega e delle scorciatoie elettoralistiche. Tutto ciò è la base per la costruzione di una nuova soggettività che sappia mettere in campo un’economia socialmente ed ecologicamente orientata, partendo dalla condivisione collettiva su cosa, come, dove e per chi produrre; che si riappropri della ricchezza sociale prodotta per garantire redistribuzione e investimenti socialmente utili; che faccia della partecipazione sociale diretta l’humus per una nuova società;

la necessità di inquadrare qualsiasi lotta condotta all’interno dei nostri territori in una

dinamica di contrasto e opposizione attiva rispetto alle strategie politico-economiche che trovano espressione nei cosiddetti trattati commerciali di “libero scambio” (TTIP, CETA,

ecc.), accordi transnazionali il cui unico scopo è quello di garantire libertà di azione e di

espansione alle grandi corporazioni, legando le prospettive di profitto all’abbattimento di

quelle che vengono denominate “barriere non tariffarie” (ovvero i diritti e le garanzie a

tutela del cittadino, del lavoratore, del consumatore e, non ultimo, dell’ambiente). La ratifica

di tali accordi – è stato sottolineato durante l’incontro sia dal rappresentante del movimento Stop TTIP Calabria che da quello della Coldiretti – comporta un rischio altissimo per il

benessere delle comunità locali, sia in termini di sfruttamento del territorio, sia in quanto

espropriazione di autonomia decisionale. Anche su questo punto l’atteggiamento del

governo si sta dimostrando particolarmente ambiguo, per non dire schizofrenico, con la

proclamazione a gran voce (si veda la campagna elettorale del M5S) della propria

contrarietà a simili trattati, in contraddizione con il recente via libera concesso dal MiSE

all’accordo UE-Giappone e con l’assenso espresso rispetto al patto con il Vietnam. 

la presenza di una delegazione lucana di ritorno da Riace, dopo tre giorni di studio e solidarietà nel paese della locride ha permesso di legare l’analisi delle vicende del cosiddetto “modello di accoglienza” di Riace a quella dei temi propri della giornata. Riace fa paura non solo perché ha saputo declinare il problema dell’accoglienza in un’opportunità di crescita comunitaria a partire dalla considerazione paritaria dell’altro in un processo virtuoso che ha annichilito le gerarchie e l’ordine semantico che inquadra le persone fra quelle che danno e quelle che ricevono. Riace fa paura perché questo incontro paritario è potuto accadere sulla base di un’autorganizzazione e di un’autogestione delle risorse naturali, produttive e culturali del luogo che hanno portato il paese a essere, oltre a un modello di accoglienza (termine abbastanza critico e politicamente ambiguo per chi scrive), un tentativo reale di economia circolare ecosostenibile!

l’ostinata non accettazione e opposizione a qualsiasi discorso falsamente ecologista che risulta sempre funzionale a interessi di parte o di natura elettorale: da un lato, infatti, il discorso di amministratori locali e regionali che si pavoneggiano parlando di sviluppo e difesa dei territori esponendo però − di fatto − le popolazioni al saccheggio sanitario, ecologico,  paesaggistico e delle risorse produttive e culturali; dall’altro, l’ecologismo opportunista dell’attuale governo Giallo/Verde e, nella fattispecie, del M5S che non intravede alcuna contraddizione nel votare compattamente un dispositivo come il D.L. Salvini che nega la protezione umanitaria a persone che molto spesso sono costrette alla fuga e a rischiare la propria vita in conseguenza anche di immani disastri ambientali e climatici prodotti nelle loro terre dalle multinazionali e dai Governi del mondo capitalista occidentale. Un Governo – è giusto ricordarlo − che con la stessa disinvoltura promette l’elemosina di un reddito di cittadinanza finanziato, in accordo con l’UE, con 18 miliardi di privatizzazioni di beni pubblici;

l’urgenza, espressa a più riprese durante l’assemblea, di ridare vita e forza a un coordinamento regionale di realtà impegnate a difesa del territorio e nelle lotte sociali che sappia produrre una mappatura delle crisi e dei conflitti ambientali in Calabria, che sappia analizzare e produrre una strategia comunicativa efficace e un’alternativa di proposte e soluzioni.

Rispetto a questa urgenza, si è individuato nel mese di gennaio il periodo più adatto per autoconvocarsi in assemblea a partire dalla prossima manifestazione nazionale prevista per il 22 marzo a Roma come momento di partenza per una riflessione collettiva che sappia andare oltre le chiamate nazionali e sappia garantire continuità nelle pratiche territoriali.

La convinzione che ha spinto le diverse realtà ad autoconvocarsi sabato scorso è che non esiste nessun tipo di avanzamento delle lotte contro la crisi, l’austerità e la devastazione territoriale senza la creazione di un rapporto di forza reale, fatto di corpi in carne ed ossa, di uomini e donne che divengono forza sociale impattante proprio nei processi di autorganizzazione.

È con questo spirito che le diverse realtà si convocano a gennaio con la volontà di riprendere un percorso − mai del tutto abbandonato − ma soprattutto per riprendersi il proprio futuro, qui e ora!

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