“La nottata non è mai passata. A Genova morì un ragazzo. Ed era la prima volta dopo gli anni della notte della Repubblica che si tornava ad essere uccisi in piazza. A Genova, un’infinità di persone, incolpevoli, subirono violenze fisiche e psicologiche che hanno segnato le loro vite. E se tutto questo, ancora oggi, è motivo di dolore, rancore, diffidenza, beh, allora vuol dire che, in questi sedici anni, la riflessione non è stata sufficiente. Né è stato sufficiente chiedere scusa a posteriori. Dopo dieci anni e dopo le sentenze di condanna definitive per la Diaz e Bolzaneto”. Parla così il capo della Polizia, Franco Gabrielli, in una lunga intervista in apertura di prima pagina di Repubblica, e aggiunge anche: “Se fossi stato Gianni De Gennaro mi sarei assunto le mie responsabilità senza se e senza ma. Mi sarei dimesso. Per il bene della Polizia”. Gabrielli ricorda anche il caso di Bolzaneto. “Dove, lo dico chiaro, ci fu tortura”. Ma se “fu una catastrofe”, aggiunge che “non ci sarà mai più una nuova Genova: questo tempo non è passato invano, la nostra istituzione è sana, non deve temere leggi e controlli”. Genova “fu semplicemente una catastrofe – argomenta con Repubblica il capo della Polizia – per una somma di fattori.
Innanzitutto per la scelta sciagurata da parte del vertice del Dipartimento di pubblica sicurezza di esautorare la struttura locale, la Questura di Genova, dalla gestione dell’ordine pubblico. Quindi, per la scelta infelice della città, che per struttura urbanistica rendeva tutto più complicato. E, da ultimo, perché si scommise sulla capacità dei ‘Disobbedienti’ di Casarini e Agnoletto di poter in qualche modo governare e garantire per l’intera piazza. Capacità che dimostrarono purtroppo di non avere. Insomma, la dico in una battuta. A Genova saltò tutto. E saltò tutto da subito. Fino alla scelta esiziale dell’irruzione nella Diaz”. “Per il G8 di Genova – continua Gabrielli – abbiamo assistito a condanne esemplari per la Diaz e a condanne modeste per Bolzaneto, dove l’assenza di una norma che configurasse il reato di tortura e l’improvviso evaporare della catena di comando e di responsabilità che aveva posto le premesse per cui una caserma del reparto mobile della polizia si trasformasse in un ‘garage Olimpo’ ha fatto sì che oggi si continui a parlare di Diaz e pochi ricordino Bolzaneto”. Ma “questi sedici anni non sono passati inutilmente”, e “il nostro sistema di prevenzione e sicurezza è oggi quello che conosciamo anche perché c’è stata Genova. E da lì è cominciata la nostra traversata nel deserto”, riflette Gabrielli. “Oggi, il nostro baricentro è spostato sulla prevenzione prima che sulla repressione”.
G8: Scajola, ‘De Gennaro si dimise, io non volli’ – “La mattina successiva alla fine del G8 di Genova, il capo della polizia Gianni De Gennaro venne da me e mi presentò le sue dimissioni. Io le rifiutai, convinto, allora come oggi, che in quei momenti, assai delicati per la tenuta del Paese, le dimissioni del capo della polizia sarebbero state destabilizzanti per le istituzioni”. Claudio Scajola, allora ministro dell’interno, racconta all’ANSA la sua versione dei fatti e, in riferimento all’intervista di Gabrielli al quotidiano la Repubblica, dice: “Con il senno di poi è troppo facile fare analisi”. “Quando quella mattina De Gennaro venne da me – racconta Claudio Scajola – io valutai che, alla luce del clamore delle devastazioni, delle reazioni violente delle forze dell’ordine, della fibrillazione all’interno delle forze di polizia, della massiccia rappresentazione mediatica in un senso o nell’altro dei fatti, le dimissioni del capo della polizia sarebbero state uno sbaglio. Dissi quindi a De Gennaro che le rifiutavo e che solo a freddo avremmo potuto analizzare l’accaduto”. “Avviai invece – prosegue – una commissione di inchiesta immediata e decisi la sospensione di alcune figure apicali del Dipartimento, tra cui La Barbera”. “Ancora oggi sono convinto – dice ancora Scajola – che fu la scelta giusta, migliore del vuoto che si sarebbe creato con le dimissioni del capo della polizia”. “E’ indubbio – aggiunge – che si arrivò al G8 di Genova con una polizia impreparata a un evento di tale portata che nasceva nel peggiore dei modi: a un mese dalla nascita del governo Berlusconi, organizzato a Genova, città scelta dal governo D’Alema, ma assolutamente non adatta all’evento, con la prima visita in Europa del presidente Bush e l’arrivo di Putin. Un’occasione troppo ghiotta per chi voleva costruire una forte contestazione”. Scajola racconta che ci si rese conto “di tutto ciò fino ad arrivare a pensare di spostare o annullare il G8 ma il costo di immagine per l’Italia a livello internazione sarebbe stato troppo alto”. “Dunque arrivarono a Genova gruppi di persone tra i 300 mila manifestanti con il solo obiettivo di devastare. E’ stata la prima volta per tutti e la polizia non era ancora preparata a queste forme di scontro”. “E’ indubbio – dice ancora – che ci furono episodi singoli da parte delle forze dell’ordine severamente censurabili. Quanto è successo a Genova è stato tristissimo ma ci ha insegnato, da allora, a garantire il diritto di tutti a manifestare in modo pacifico. Così come – conclude Scajola – fece capire a tutti che le forze di polizia lavoravano in pochi, sottopagati, con mezzi inadeguati e da allora per fortuna le cose sono molto migliorate”.