I dati economici della Calabria, elaborati da Eurostat, segnano il risultato più drammatico mai registrato nel contesto europeo: la nostra regione consta la maggiore disuguaglianza sul reddito tra tutti i Paesi dell’UE. Un fenomeno di una discriminante estrema che, non solo accentua la bassa condizione di crescita nella nostra regione, ma evidenzia una forte disparità distributiva tra il capitale e il reddito. L’Istituto economico europeo certifica la divaricazione della forbice sociale a vantaggio degli strati più ricchi e ne accentua lo stato di povertà, in valore e condizione, assoluta.
Tutto ciò mentre la nostra regione sconta una crisi demografica, uno spopolamento delle aree interne ed una emigrazione giovanile senza precedenti che verrà acuita dall’autonomia differenziata. C’è un tema ineludibile per il Governo nazionale e regionale: quello salariale, del lavoro, degli investimenti che sfuggono dall’orbita di ogni provvedimento emanato dall’esecutivo.
Il 20% dei cittadini calabresi ricchi accresce il suo benessere, mentre il 20% povero diventa ancora più indigente non potendo disporre dei basilari mezzi di sussistenza su beni e servizi essenziali.
Un fenomeno che, per quanto paradossale, vista la quantità e la finalità di risorse europee, ordinarie e straordinarie, di cui la Calabria oggi dispone, abbiamo sempre cercato di evidenziare come CGIL negli ambiti istituzionali della programmazione europea, richiamando un approccio di indirizzo e di merito basato sulla qualità della spesa in termini di impatto e congruità dei risultati. Oltre la metà della spesa comunitaria viene assegnata con bonus, incentivi e crediti d’imposta che solo marginalmente determina una premialità negli investimenti su politiche distributive e reddituali, con un basso coefficiente occupazionale. Per quanto evidenti, i fattori dì criticità nella spesa comunitaria vengo spesso concepiti nella necessità di intervento sugli aspetti quantitativi, anziché affrontarli nella complessità delle loro dinamiche distributive per meglio agire processi contestuali di sviluppo e di crescita sia economica che sociale. In altre parole, non c’è solo un problema nella capacità di investire i fondi per ridurre i divari territoriali con le altre aree del Paese ma, di farlo, attraverso mirate politiche sociali ed occupazionali per garantire un generale benessere di tutte le classi sociali che nei territori risiedono. L’indagine dell’Eurostat, sostanzialmente, ci suggerisce di considerare i divari regionali per poter meglio affrontare quelli nazionali.