“Sono fermamente convinto che una società ferma, seduta, bloccata non costruisce senso di comunità”. “Quella Crotonese è una società fragile, debole, frastagliata”. E ancora: “Noi Crotonesi non abbiamo sviluppato appieno il senso della dignità e dell’appartenenza di Crotone come capoluogo di provincia”. È evidente il blocco politico e culturale che Crotone vive ormai da più di un ventennio. Il ruolo limitato del Comune di Crotone e la politica che dovrebbe provare a indicare una direzione, a dare un’ambizione condivisa a una società ferma, bloccata. Tutti i dati, poco gratificanti, confermano che Crotone non è solo l’ultima città del Paese, ma anche tra le ultime delle Regioni d’Europa: Crotone “malata”, afflitta da un’infinità di problemi che la politica non appare in grado di affrontare. Assediata dalla problematica dello sviluppo mancato e della riconversione industriale che non ha mai visto gli albori; assediata dalla mancanza di lavoro, nascondendo l’esodo delle nuove generazioni che stanno abbandonando la propria terra; le morti silenziose di cancro frutto di un intossicamento collettivo perpetrato ai danni di una collettività che disconosceva i danni di 70 anni di industria chimica e metallurgica. Esiste una nuova “questione Crotone”. Ma i crotonesi cosa ne pensano? Come si vive nella cittadina pitagorica? Quali le possibili vie d’uscita per restituire dignità e splendore a una delle città più belle della Calabria? Di quali patologie soffrirebbe Crotone? Ha senso utilizzare l’espressione “città malata”? Io penso che il dibattito è articolato e le risposte possono essere tante; si tratta di vedere quale sia la più convincente. Partirei col dire che quella Crotonese è una società fragile, debole, frastagliata. E se pensiamo alla struttura economica della città, vediamo prevalere due settori: il turismo e la pubblica amministrazione. Aggiungerei anche l’agricoltura se ci fosse un salto di qualità a sfruttare le filiere e la logistica commerciale. Ma questi due + uno settori non sono certo i più orientati all’innovazione, all’investimento, al miglioramento qualitativo del tessuto sociale o infrastrutturale. In fin dei conti l’operatore turistico aspetta che arrivi il cliente, mentre la pubblica amministrazione è tradizionalmente volta più a conservare che a innovare. L’agricoltura è proiettata – visto che la produzione si trova nell’interland – ad uno sfruttamento momentaneo e non in prospettiva. In tal senso non vedo un dinamismo diffuso in Calabria e la società Crotonese non appare spinta a progettare e plasmare il proprio futuro. Vedo una differenza di fondo tra le città della regione. A grandi linee, per esempio, potremmo dire che la Cosenza delle imprese, dell’Università, delle banche, della società civile, del volontariato, mostra ancora un discreto dinamismo e il Comune deve semmai garantire servizi pubblici efficienti che creino un ambiente favorevole a questo movimentismo. L’Amministrazione municipale di Cosenza deve assicurare che i servizi pubblici locali di trasporto funzionino ampliandone linee e stazioni, come sta avvenendo; che l’industria e il commercio abbiano attorno un tessuto favorevole. A Crotone la città nel suo complesso non mi pare altrettanto in marcia e così il Palazzo Comunale di Piazza della Resistenza, anche se lo volesse, non potrebbe limitarsi al funzionamento dei servizi, a una urbanistica sostenibile, a occuparsi di strade e fognature che sono in pessimo stato, a organizzare il traffico e i servizi alla persona. A Crotone la politica dovrebbe provare a indicare una direzione, a dare un’ambizione condivisa a una società seduta. Ma questo è un compito che esorbita quello di un’Amministrazione cittadina. Allora come restituire a Crotone la dignità di cittadina modello? “Personalmente ritengo che noi Crotonesi non abbiamo sviluppato appieno il senso della dignità di Crotone capoluogo di Provincia. Sento spesso anche tanti miei concittadini che si lamentano che questa Città è morta, ma, a mio dire, non è stata “ancora” sepolta. Perché? Subito dopo la chiusura delle Fabbriche, nel 1995 si svolse un convegno sui “mali di Crotone”. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti dell’Esaro e del Neto. A che punto siamo? “Io sono convinto che prima bisognerebbe pensare alla qualità della città, alla qualità della vita a Crotone, poi ci si potrà orientare verso il profilo di città del turismo, della cultura, dello sport, della filiera agroalimentare come punto centrale di una economia territoriale. Per far questo occorre in primo luogo far crescere il senso di comunità. Cominciando dal basso, dai quartieri, dalle piccole realtà e dai Borghi provinciali, con i Crotonesi protagonisti del loro futuro. Mettendo in comune obiettivi alti, grandi ambizioni. Questo per rispondere a chi “blocca” i processi politici e partitici e fa abortire i progetti. Se nascessero questi progetti di ampio respiro, noi Crotonesi li potremmo perseguire insieme. Anche nel ‘94 si era fatto questo discorso, volto a costruire un tessuto comunitario. Ma siamo rimasti là”. Quale il ruolo della politica? “Sinceramente non vedo oggi, né ho visto in anni passati, una classe politica Crotonese che ambisca a far crescere questo senso della comunità, a dare obiettivi di lungo periodo a Crotone e ai Crotonesi. Al di là dei gravissimi problemi legati alla “Bonifica” dell’ex area industriale, non scorgo nella politica cittadina (… e provinciale) l’idea di far maturare un vero e proprio profilo di città. Allora accade che da fuori arrivino i nuovi padroni affaristi, e che da dentro si facciano largo i soliti furbi che si occupano dei loro interessi e non del bene della città.” I cattolici? Dove sono dinanzi a queste difficoltà? Mi interessa fare un pensiero sui cattolici. Dovrebbero pensare che sono una risorsa e una speranza perché “sviluppano e perseguono un senso comunitario”. Ma sono presi dalle loro “omissioni”, sicuri di essere senza peccato. “Ritengo che i cattolici possano veramente costituire una delle risorse e delle speranze di questa città. Perché se ci pensiamo, sono proprio i cattolici che sviluppano e perseguono un senso comunitario, che vivono nelle parrocchie, che danno vita ad associazioni, gruppi, volontariato… Pur con tutti i limiti evidenti che mostra la Chiesa a Crotone non mancano infatti le parrocchie chiuse in se stesse, un cattolicesimo un po’ egoista o borghese, sacerdoti invecchiati… , la venatura comunitaria che attraversa il cattolicesimo Crotonese può ancora fare la differenza. In positivo. Si tratterebbe semmai di chiamare i cattolici che vivono a Crotone a un rinnovato senso di responsabilità civica e di protagonismo sociale e politico che può portare grande valore aggiunto alla città”.
CROTONE È MALATA?
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