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Il Circolo per l’ambiente IBIS in prima linea nella lotta per la conservazione della foca monaca

Redazione

La mappa di distribuzione della foca monaca ridisegnata dall’Università Milano-Bicocca ,risultato di una ricerca basata sul DNA ambientale, rivela la presenza della foca monaca in 6 hot spot: dall’Istria alle isole e coste italiane compresa quella Crotonese  fino alle Baleari.

Lo studio“Playing hide and seek with the Mediterranean monk seal“, pubblicato su Scientific Reports da un team di ricercatori italiani guidato dall’università di Milano-Bicocca e realizzato in collaborazione con il Gruppo Foca Monaca APS e con il supporto di 10 associazioni tra cui il Circolo per l’ambiente Ibis di Crotone ed enti di ricerca impegnati nelle operazioni di campionamento, ha determinato che i i 6 “hot spot” di presenza della foca monaca del Mediterraneo (Monachus monachus) sono  tra Istria e la laguna di Venezia, Salento-Golfo di Tarantoe Crotone, le isole minori siciliane, Sardegna orientale-Canyon di Caprera, Arcipelago Toscano e l’arcipelago delle Baleari.

I dati sono stati raccolti grazie a una vasta campagna di monitoraggio effettuata il 2020 e 2021  lungo le coste italiane e nei tratti di mari limitrofi tra per tracciare la presenza della foca monaca del Mediterraneo, una delle specie più rare al mondo.

All’università Milano-Bicocca spiegano che «Con un rivoluzionario sistema di rilevamento non invasivo, basato sulla ricerca di DNA ambientale in campioni di acqua di mare, i ricercatori hanno analizzato 135 campioni prelevati in 120 punti del Mar Mediterraneo centro-occidentale, alla ricerca di tracce molecolari della foca monaca: l’analisi ha rivelato così la presenza del raro pinnipede in aree dove mancano osservazioni dirette da decenni, come ad esempio in molti tratti di mare che circondano la nostra Penisola, dalle acque sovrastanti il canyon di Caprera all’Alto Adriatico fino alle isole Baleari. La ricerca ha fornito una nuova “visione” della distribuzione territoriale della foca monaca, individuando sei aree di grande interesse (“hot spot”) dove saranno concentrate da subito le attività di monitoraggio dei prossimi anni. Altro dato rilevante è la “positività” di alcuni siti storicamente noti per la presenza della specie e anche di aree vicine alle piccole isole e alle Aree Marine Protette».

Il metodo di rilevamento utilizzato è stato descritto nel febbraio 2022 nello studio “A species-specific qPCR assay provides novel insight into range expansion of the Mediterranean monk seal (Monachus monachus) by means of eDNA analysis” appena pubblicato su Biodiversity and Conservation da un team guidato da   Elena Valsecchi, ecologa molecolare del dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra dell’università di Milano-Bicocca e docente di Marine Vertebrate Zoology, che spiega: Alla base del metodo, un assunto: ogni organismo vivente lascia una traccia del proprio passaggio e questa viene rivelata dal suo DNA rimasto nell’ambiente. Per esempio per la foca monaca, dal DNA che resta nella massa d’acqua in cui si muove».  La Valsecchi coordina il Marine eDna Group dell’ateneo milanese, che da due anni ha promosso il progetto “MeD for Med – Marine environmental DNA for the Mediterranean”, sistema di monitoraggio della biodiversità marina basato proprio sull’analisi del DNA ambientale contenuto in campioni d’acqua raccolti da traghetti lungo le rotte commerciali. Un progetto nato grazie al cofinanziamento del programma Bicocca Università del Crowdfunding  e descritto nello studio “Ferries and Environmental DNA: Underway Sampling From Commercial Vessels Provides New Opportunities for Systematic Genetic Surveys of Marine Biodiversity” pubblicato nell’agosto 2022 su “Frontiers in Marine Science”.

Per  mettere a punto una strategia molecolare in grado di intercettare, dall’analisi di semplici campioni d’acqua marina, la presenza della foca monaca, la professoressa Elena Valsecchi ha identificato regioni “informative” del DNA mitocondriale del pinnipede, «Ovvero sequenze target che si trovano solo in questa specie. I ricercatori hanno così potuto sviluppare sonde specifiche per poter “pescare” all’interno di un miscuglio di milioni di molecole di DNA provenienti dagli animali più disparati – come quello presente all’interno di un campione di DNA ambientale prelevato dal mare – il DNA della foca monaca: una sorta di “calamita molecolare”». Poi, in collaborazione con Antonia Bruno, microbiologa del dipartimento di Biotecnologie e bioscienze, è passata allo screening di “veri” campioni ambientali: «Le sonde molecolari sono quindi state testate sul campo, attraverso il confronto con un ampio spettro di campioni, alcuni dei quali (campioni positivi) contenenti il DNA della foca monaca», come quelli prelevati nelle acque dell’Oceano Atlantico intorno dell’arcipelago portoghese di Madera, dove si trova una piccola popolazione stanziale di una trentina di esemplari di foca monaca, grazie alla collaborazione dell’Instituto das Florestas e Conservação da Natureza di Madera.

I ricercatori milanesi dicono che «I test hanno dimostrato l’efficienza delle sonde nell’intercettare la presenza del mammifero marino», il che li ha convinti  a sperimentarle in campioni di DNA ambientale raccolti nel Mediterraneo, nell’ambito di altri progetti di ricerca portati avanti dal Marine eDna Group.

La Prof.ssa Valsecchi presenta i risultati: «Abbiamo rilevato la presenza della specie in circa il 50% dei campioni prelevati al largo dell’isola di Lampedusa nell’estate 2020 e in alcuni campioni prelevati tra il 2018 e il 2019 da traghetto al largo dell’arcipelago Toscano nell’ambito del progetto Med for Med, lungo la rotta Livorno-Golfo Aranci (Corsica Sardinia Ferries). L’analisi di circa 50 campioni di acqua prelevati nei mari italiani sia sotto costa che in alto mare ha anticipato alcune delle più importanti segnalazioni e avvistamenti di foca monaca avvenute di recente in Toscana, Calabria e in Sicilia e ne hanno svelato la presenza in tratti di Mediterraneo finora inesplorati».

Emanuele Coppola, documentarista che si è occupato di foca monaca per decenni, presidente del Gruppo Foca Monaca APS e coautore dello studio, evidenzia che «Le applicazioni di questo sistema di rilevazione molecolare sono molteplici. Si potranno monitorare aree dove è già nota la presenza della foca monaca al fine di stimare il passaggio stagionale dei pinnipedi e il grado di fedeltà al sito, anche durante le stagioni invernali o in orari notturni, e tenere sotto osservazione, in modo assolutamente non invasivo, siti costieri che, per conformazione fisica, costituiscono i potenziali habitat di elezione per la foca monaca, quali grotte riparate dalla forza del mare e con spiagge interne ideali per il parto». Ciò favorirà lo studio e la ricerca sulla specie, la conservazione dei siti e la tutela della foca monaca».

Nel 2020 il gruppo di ricerca milanese ha lanciato il progetto “Spot the Monk” in collaborazione con il Gruppo Foca Monaca, per lo studio “focalizzato” su questo pinnipede e Coppola si è occupato di individuare i siti di campionamento per stimare il passaggio stagionale dei pinnipedi e il grado di fedeltà alle singole aree. Siti costieri che, per esperienza diretta o valutazione geo-morfologica, costituivano i potenziali habitat di elezione della foca monaca. Al progetto ha subito aderito il Circolo per l’ambiente IBIS , che ha iniziato i monitoraggi costieri, centrati in particolar modo nel territorio dell’area marina protetta Capo Rizzuto in cooperazione con l’ente di gestore della stessa. Conclude Girolamo Parretta il presidente del Circolo per l’ambiente IBIS :” Bisogna agevolare in ogni modo il ritorno di questo animale sulle nostre coste, intensificando la protezione degli habitat dei siti storici di presenza del pinnipede,infatti anche a Crotone era presente la Foca monaca, come evidenziato nel famoso documento scientifico “Mammalia Calabra” redatto nei primi del ‘900 dal naturalista  crotonese Armando Lucifero, dove si narra della cattura di ben tre esemplari (nel corso di un ventennio circa) nell’area costiera che va da Capo colonna alla foce del fiume Esaro.  “

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