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“LE VIE DEL GRANO”. SI E’ SVOLTO A FALERNA IL QUARTO EVENTO DEL FESTIVAL DELLE ERRANZE E DELLA FILOXENIA.

Redazione

“LE VIE DEL GRANO”. SI E’ SVOLTO A FALERNA IL QUARTO EVENTO DEL FESTIVAL DELLE ERRANZE E DELLA FILOXENIA.

Si è svolto ieri, domenica 25 luglio, il quarto evento ufficiale del calendario estivo del Festival delle Erranze e della Filoxenia. Protagonisti: un campo di grano dorato; un terrazzo sospeso a settecento metri di quota tra l’azzurro del Tirreno ed il verde del Monte Mancuso; l’asina Carolina; i Briganti del Mancuso (associazione organizzatrice); l’ombra di alcune grandi querce; il sole dell’estate calabra; zia Lisetta e zio Michele; la comunità dell’antico borgo di Falerna superiore; un centinaio di ospiti provenienti da tutta la Calabria e oltre.

A metà pomeriggio un lungo serpentone colorato, dopo i saluti di Luca Mendicino, de I Briganti del Mancuso, e di Francesco Bevilacqua, del Festival, è partito a piedi dalle ultime case alte del borgo per raggiungere il grande terrazzo naturale occupato dalla piantagione di grano, sfilando in mezzo alla gialla distesa di spighe ancora macchiata dai colori sgargianti di qualche fioritura tardiva. Un cerchio di querce ha accolto i camminatori, che, ristorati dall’ombra e rifocillati dal fresco vino falernese e dall’acqua contenuti nelle “vozze” di terracotta, hanno ascoltato il racconto dell’agronomo Michele Ferraina sulle caratteristiche del grano tipico della zona e sulle varie fasi della coltivazione e della lavorazione. Gli anziani del paese, dotati di falci e di “guanti” di canna (per proteggere le dita) hanno mietuto a mani, rievocando un rito che si perde nella notte dei tempi. Mentre giovani falernesi in costume tradizionale allietavano tutti con suoni, canti e danze.

 

Caricata con i grandi fasci l’asinella Carolina, il gruppo si è spostato presso l’aia, dove l’animale, facendo girare in cerchio una pietra piatta sulle spighe adagiate in terra, ha ottenuto la fuoriuscita dei chicchi. I chicchi così prodotti sono stati sottoposti a molitura per produrre la farina. Il tutto si è concluso all’imbrunire con una festa popolare sotto il cerchio di querce, rallegrata dal buon cibo, dal vino, dalla musica e dai balli.

 

Francesco Bevilacqua ha tenuto a sottolineare come iniziative come queste non devono avere esclusivamente una funzione ludica e di divertimento, ma hanno, invece, l’importante finalità di collegare passato e futuro, identità e ideazione. Il grano, sino a metà Novecento coltivato quasi dappertutto in Calabria, era prodotto in loco per il fabbisogno delle popolazioni locali e in parte anche esportato (dalle grandi estensioni del latifondo crotonese, ad esempio). Nei decenni successivi, invece, con i grani “economici” e di scarsa qualità provenienti dall’estero e la contestuale perdita delle attività agro-silvo-pastorali tipiche dell’Appennino calabro, la coltivazione del grano – e con essa tutte le pratiche, i saperi, le attività produttive legate – è quasi scomparsa dall’agricoltura regionale e dall’orizzonte culturale dei calabresi. Al contrario, da alcuni anni, la grande domanda di cibo tipico e di qualità ed il ritorno in chiave moderna delle attività tradizionali e vocazionali legate al territorio ed al paesaggio hanno fatto risorgere l’interesse per il grano, che, nella cosiddetta “triade mediterranea” (grano, appunto, ulivo e vite), era la pianta edibile regina dell’agricoltura. Una ulteriore opportunità, dunque – ha concluso Bevilacqua –, per recuperare la memoria e farne la base di uno sviluppo sostenibile delle aree interne calabresi

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