La Cgil ha legato il tema della difesa e del rilancio del Servizio Sanitario Nazionale, del diritto alla salute e delle tutele ai non autosufficienti a quello della cosiddetta autonomia differenziata e dello stravolgimento della Repubblica parlamentare.
Per questo abbiamo intrapreso un percorso di mobilitazione con il coinvolgimento dei lavoratori, dei cittadini e delle associazioni proprio a difesa del diritto al lavoro, all’istruzione, alla salute, all’assistenza ai non autosufficienti, iniziato a giugno dello scorso anno con la manifestazione in difesa della sanità pubblica, proseguito sabato scorso con la manifestazione nazionale a Roma su “Salute e Sicurezza, diritto alla cura e sanità pubblica” e che continuerà con la prossima manifestazione a Napoli il 25 maggio.
Sul SSN si è scatenata la “tempesta perfetta” e i “segnali” del suo graduale ma inarrestabile declino sono tanti: il persistente definanziamento (37 miliardi di euro di tagli negli ultimi 10 anni), le disuguaglianze e le divisioni create da 20 diversi sistemi sanitari regionali, il crescente invecchiamento della popolazione e la riduzione progressiva del personale per la fuoriuscita anticipata di decine di migliaia di medici e operatori sanitari, con la difficoltà, quindi, di riuscire a tenere aperti i reparti ospedalieri o di assicurare l’assistenza di base ai cittadini.
Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale sulla salute, nei prossimi dieci anni il SSN si troverà con circa il 25% di personale in meno e a niente servirà “importare” medici stranieri o richiamare in servizio medici in pensione.
In un Paese dove aumenta la vita media e crescono le malattie croniche il problema diventa l’assistenza e la cura della persona. Senza investimenti e risorse adeguate il SSN pubblico ed universale non potrà sopravvivere. Serve, invece, come sosteniamo da tempo, un piano straordinario di riordino dei servizi, di assunzioni e di investimenti nella sanità pubblica con un incremento stabile del finanziamento del SSN che lo riporti in linea con la media degli altri paesi europei e l’eliminazione dei vincoli del tetto di spesa per il personale degli enti dei Servizi Sanitari Regionali.
Una nota a parte merita la grave situazione della Calabria che, già a distanza di dieci anni dalla regionalizzazione della sua sanità, è piombata all’interno di un pesantissimo piano di rientro, con ricadute negative in termini di blocco delle assunzioni e di mancate risposte ai bisogni di salute dei cittadini.
Ad oggi siamo all’attuazione del quinto Programma Operativo senza alcun risultato concreto: livelli essenziali di assistenza sotto la soglia della sufficienza e una migrazione sanitaria che mette in serie difficoltà i cittadini e svuota le casse regionali. Situazione che, negli ultimi quattro anni e mezzo di guida della Regione da parte del centrodestra calabrese, è peggiorata. Lo attestano i cittadini che chiedono assistenza e cure ed è certificato dal sistema di monitoraggio dei Lea dall’Agenas e da organismi indipendenti come la Fondazione Gimbe.
E, intanto, la Calabria continua a non spendere per garantire l’assistenza sanitaria ai suoi cittadini, a tal punto che i tecnici dei ministeri della Salute e del MEF nell’ultimo verbale dello scorso 22 gennaio scrivono che «l’avanzo che si osserva dopo le coperture nell’anno 2022 è collegato al ritardo degli interventi, come anche evidenziato dai numerosi accantonamenti delle risorse del Fondo sanitario regionale indistinto e vincolato, che avrebbero dovuto essere messi in atto per il potenziamento dei Lea, auspicati dalle numerose iniziative legislative nazionali a sostegno della Regione Calabria intervenute negli anni e dall’iscrizione dei contributi dello Stato a sostegno del Piano di rientro della Regione Calabria che appaiono non utilizzati».
Sembra di rileggere l’ultima relazione annuale della Corte dei Conti che parla di “contributi dello Stato a sostegno del Piano di rientro della Regione Calabria che appaiono largamente non utilizzati” e di “ritardo degli interventi che avrebbero dovuto essere messi in atto per l’erogazione dell’assistenza sanitaria attraverso il potenziamento dei LEA. L’avanzo al 31 dicembre 2022, (chiosa la Corte dei Conti), non fotografa in maniera veritiera e corretta la situazione del sistema sanitario calabrese”.
Rilanciamo con forza l’impegno assunto dalla presidenza di Giunta regionale, ad oggi disatteso, ad attivare tavoli di confronto continuo di livello regionale prima e delle Aziende Sanitarie Provinciali a seguire in cui operare la contrattazione socio-sanitaria territoriale, quale aspetto di fondamentale importanza nel complesso lavoro di riorganizzazione del SSR.
Se l’impegno assunto non sarà rispettato mobiliteremo lavoratori e i cittadini a difesa e tutela del diritto a curarsi ed essere assistiti nel territorio in cui vivono per fermare i processi di emigrazione sanitaria, di privatizzazione e per rilanciare un SSR pubblico e un sistema socio-sanitario che garantisca tutte le comunità, con particolare attenzione a quelle delle aree interne e contribuisca ad evitarne lo spopolamento.
Diritti rispetto ai quali, il disegno di legge per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni, il cosiddetto ddl Calderoli, non solo non risolverebbe le gravi problematiche della nostra regione, ma ne accentuerebbe le disuguaglianze e il divario rispetto alle altre regioni italiane.